PERCHÉ NON FARLO ?

una testimonianza di Angelo Chiarelli

 

Non più tardi di alcuni mesi fa, uscito dall’ospedale, ero in strada per prendere la mia auto parcheggiata nelle vicinanze e nel trambusto del traffico cittadino ho notato una coppia di anziani, abbastanza avanti negli anni, seguire un po’ disorientata una giovane che cercava inutilmente informazioni in giro. Si percepivano nei loro volti i segni della stanchezza e di una rassegnata preoccupazione, legata allo stato di salute evidentemente precario della donna.

La ragazza, loro figlia, era come spaventata non riuscendo a raccogliere le informazioni utili e quando non aveva interlocutori a cui rivolgersi si guardava attorno impensierita e quasi agitata, non sapendo risolvere le proprie esigenze.

Intenzionalmente mi sono diretto verso di loro e puntualmente lei mi è venuta incontro rivolgendomi la consueta domanda che fino allora non aveva trovato risposta:  “Buongiorno, mi scusi, sa dirmi dov’è la Casa di Accoglienza S. Camillo?”. L’accento era palesemente del sud, anzi di una precisa regione del sud a me cara e alla quale, nonostante gli anni trascorsi da quando l’ho lasciata, non potrò mai non essere legato. Mi sono sentito una leggera stretta al cuore, le ho sorriso e volutamente con inflessione a loro famigliare le ho indicato la direzione dicendo: “A cinquanta metri girate a sinistra e di fronte a voi, dopo altri trenta, la troverete”.

Automaticamente ho visto lampeggiare negli occhi della ragazza un segno di gioia misto ad una sensazione di conforto, mentre in quelli dei genitori un guizzo di orgoglio e di confermata fiducia verso la loro figliola. Solo per un attimo gli occhi di tutti loro sono stati attraversati da un’espressione di meraviglia, che non ho capito se dovuta alla mia ostentata inflessione dialettale a loro famigliare o invece alla commozione che avevano a loro volta notato velare i miei occhi.

Dodici anni prima era cominciata questa nuova esperienza di creare la prima Casa di Accoglienza a Padova ed in quel momento potevo provare un’immensa soddisfazione e toccare con mano il frutto degli sforzi di tanti volenterosi impegnati per aiutare la gente in difficoltà.

Era cominciato tutto in maniera inspiegabile; un giorno un anziano e malato frate, P. Daniele Hekic, di fronte al mio desiderio di rendermi utile agli altri, mi disse: “Vai dal tuo parroco e chiedigli di farti fare qualcosa”.

Mi rivolsi a Padre Roberto e alla mia richiesta mi rispose: “È da tanti anni che sto cercando di realizzare una Casa di Accoglienza per i famigliari dei pazienti che arrivano da lontano per curarsi a Padova, ma non ci sono mai riuscito”.

Tumultuosamente si innescò un meccanismo virtuoso che consentì di realizzarla in poco tempo. Il mio impegno in questa impresa è stata poca cosa di fronte a quello di tanti volontari che si sono avvicendati consentendo la realizzazione dell’opera insieme ai parrocchiani di S. Camillo e all’incommensurabile disponibilità e generosità d’animo dell’allora Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera – Università di Padova, Giampaolo Braga.

Quale prodigio!

Dall’incontro di due, tre persone si sono moltiplicate tante persone, che con la loro dedizione sono riuscite a “saziare” il bisogno di aiuto di tante altre persone e che ancora negli anni si moltiplicano in continuazione.

Credo non ci sia parabola nel Vangelo che non trovi riscontro nelle situazioni analoghe della vita di ogni giorno. Eppure tanta gente continua a ripetere di non credere ai miracoli perché non riesce a vedere la Luce, senza rendersi conto che sarebbe sufficiente aprire semplicemente gli occhi.

Sono passati dieci anni e quest’opera continua a crescere grazie all’encomiabile impegno e sostegno di Padre Roberto, oltre a quello dei suoi ammirevoli parrocchiani.

Fulgido esempio di carità cristiana, a loro va la riconoscenza di tutti.

Da parte nostra noi continuiamo a renderci disponibili per quello che ci sarà consentito fare.

In questi anni, in parecchie occasioni mi è stato chiesto: “Ma perché fate tutto questo?”. Le risposte potrebbero essere tante: per aiutare la gente bisognosa, per sdebitarci perché la vita è stata generosa con noi, per impegnare il tempo libero, per tacitare le nostre coscienze.

Nessuna di queste mi ha mai convinto pienamente e mi sono sempre e semplicemente limitato a rispondere con un’altra domanda: “Perché non farlo?”.

 

1998: sono in corso i lavori di costruzione della Casa di Accoglienza
 

 

Il progetto originale dell’ing. Sidoti: la pianta del secondo piano, con le nove stanze tutte dotate di servizio privato

 

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