PADRE GIANCARLO MANZONI,
UNA TESTIMONIANZA FECONDA

Sabato 31 gennaio Padre Giancarlo è stato improvvisamente chiamato alla casa del Padre. Don Marco Cagol, nostro giovane parrocchiano e ora prete, lo ricorda così.

 

Ho conosciuto padre Giancarlo Manzoni (nella foto) nella parrocchia di San Camillo come vicario parrocchiale quando avevo quindici anni. Ricordo che arrivò con grande discrezione: era una persona mite e buona, e si adoperò subito per inserirsi nelle attività della parrocchia e per coinvolgere nuove leve da coltivare. Io fui una di queste; fu merito suo se iniziai ad appassionarmi della vita della comunità parrocchiale, delle attività, e se iniziai a gustare il mettersi a servizio degli altri, in particolare dei più piccoli. Padre Giancarlo si prese veramente cura di noi giovani, come un padre molto umano, e anche come un fratello maggiore nel cammino di fede. Ci insegnò il gusto della preghiera; insieme (fu con lui che per la prima volta imparai cosa fosse la liturgia delle ore; ricordo come al sabato pomeriggio, finite le attività con i ragazzi, ci invitava in cappellina a pregare i vespri).

Voleva bene alle persone, e sapeva condividere la semplicità dell'amicizia, divenendo spesso di casa nelle nostre famiglie.

 

 

La sua testimonianza di prete contento e paterno fu senza dubbio per me seme di vocazione sacerdotale; anche perché con molta umanità e rispetto ebbe il coraggio di farmi esplicitamente la domanda “vocazionale", segno che amava il proprio essere prete. Pur provenendo da realtà extradiocesane, volle subito rendersi partecipe della vita della diocesi, indirizzando anche noi giovani alle attività diocesane. Nello stesso spirito accettò e gioì profondamente quando, dopo qualche anno, non intrapresi la vocazione camilliana, ma entrai nel seminario diocesano.

La sua testimonianza feconda continuò quando fu trasferito all'ospedale civile come cappellano. Accanto all'esercizio del ministero nelle corsie dell'ospedale, si impegnò sempre, in varie forme, per stimolare tutta la chiesa locale alla cura pastorale degli ammalati: diceva sempre che dei malati non si devono prendere cura solo i cappellani d'ospedale, o pochi operatori pastorali specializzati, ma tutta la comunità cristiana deve saper essere sollecita verso i malati, che ormai sempre meno passano lunghi periodi negli ospedali, e invece più spesso sono assistiti nelle loro case. È stato sicuramente uno stimolo forte alla nostra chiesa (e a me come prete diocesano) per tenere viva questa dimensione.

Una bella sintesi tra carisma camilliano e servizio alla chiesa diocesana, che lo stesso vescovo Antonio riconobbe affidandogli la responsabilità della pastorale sanitaria per conto della diocesi. Quattro anni fa tornò volentieri, pur mantenendo i servizi in ospedale e in diocesi, ad abitare nella parrocchia di San Camillo, rimasta nel frattempo senza cappellano, per non lasciare solo e aiutare soprattutto per le celebrazioni liturgiche il parroco padre Roberto. Anche questa volta tornò con discrezione, e per la gente fu come il ritorno di un amico di famiglia

      

don Marco Cagol

(da La Difesa del Popolo)

DIDASCALIA

 


 

 

torna all'indice - Vita Nostra aprile 2009 - anno 4 numero 1