LETTERA AI CERCATORI DI DIO
 

Quando, lo scorso aprile, uscì il documento della Commissione Episcopale Italiana per la dottrina della Fede fui subito incuriosita dalla novità presente già nel titolo: non un’enunciazione dottrinale ma una lettera, certamente il segno di un genere confidenziale e un invito al dialogo. Colsi subito, sfogliando le prime pagine, la freschezza di uno stile che richiamava quello del Concilio e della Scrittura.

Infatti la ”Dei Verbum” afferma che ”Dio parla agli uomini come ad amici” e tutta la Bibbia può essere considerata una lunghissima lettera che si rivolge a familiari, non ad estranei; pensiamo alle lettere di Paolo alle varie comunità, cui comunica confidenza, speranza, ma anche delusioni e rimproveri.

Anche l'espressione ”cercatori di Dio” non è tradizionale nei documenti del magistero; cercare significa entrare nel vissuto delle persone, leggere nella trama quotidiana delle situazioni, degli affetti, dei dubbi e dei progetti per illuminarli con una Parola che non passa.

È la pedagogia dell’ascolto, come metodo formativo e fraterno di condivisione, di fronte “all’inquietudine diffusa in tanti uomini e donne del nostro tempo”, credenti e non credenti.

Questo stile che intende suggerire, evocare più che affermare, si esprime nella scelta di partire dalle domande; è un cambiamento di rotta, dal metodo deduttivo a quello induttivo, un genere letterario già presente – sulla scia e nello spirito del Concilio – nei catechismi degli anni '70, ma che è molto meno evidente nel più recente ”Catechismo della Chiesa cattolica". La lettera entra nella vita delle persone, fa sue le inquietudini di ”coloro che cercano e spesso faticano a trovare una risposta e anche di coloro che non cercano più, rassegnati e delusi"; si rivolge a chi vive dentro le contraddizioni della vita quotidiana e della storia.

L'esistenza di ogni persona è attraversata – seppure con percezioni diverse – da attese, ricerche, prospettive: la ricerca della felicità, dell'amare e dell'essere amati, l'esperienza della fragilità, il senso del lavoro e il bisogno del riposo e della festa, il desiderio di giustizia e di pace.

Chi potrebbe vivere senza queste aspirazioni?

-Felicità: Cerchiamo la felicità; ma come? Quale felicità? E gli altri?

Ci bastano le proposte che legano la felicità al possesso, al potere, all’egoismo personale?

-Fragilità: Facciamo esperienza della fragilità, una sfida che da sempre suscita interrogativi inquietanti perché ”la sofferenza segna la vita del bambino, dell'anziano, del malato, del povero, dell'emarginato, del carcerato, dell'immigrato"?

Un personaggio della Bibbia è un riferimento per chi ha il coraggio di riflettere sul mistero del dolore: Giobbe, quando afferma ”mesi di illusioni e notti di affanno mi sono assegnati” e le sue parole brucianti diventano forse l'eco delle nostre.

-Affettività: L'affettività è costitutiva della vita di relazione: ma perché ingratitudine, possesso, gelosia impediscono l'apertura all'altro? Chi ci renderà capaci di amare?

Eugenio Montale esprime intensamente questo desiderio, ”che è insieme nostalgia e attesa” nei versi scritti dopo la morte della moglie: ”Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue".

-Lavoro: Interroghiamoci sulla sua dimensione fondamentale nella nostra vita ma anche sui suoi problemi. Dobbiamo collaborare con Dio che ci ha affidato il creato; ”Il Signore Dio pose l'uomo nel giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” - dice la Genesi - ma uno sviluppo squilibrato crea disparità tra profitto e povertà, tensione tra le varie componenti sociali. Come possiamo collaborare a costruire un contesto sociale più equilibrato?

-Riposo e festa: Il lavoro e il riposo sono entrambi una benedizione e un dono alla dignità della persona; la festa è espressione di libertà ed esperienza di comunione. Perché per molti sono un'aspirazione lontana o una lucida rassegnazione?

-Giustizia e pace: Tutti noi riconosciamo il valore di gesti semplici e quotidiani: pietà per le vittime, solidarietà per i profughi, sostegno ai poveri. Ma perché le armi continuano a gridare più forte delle opere di pace? Perché la violenza entra anche nel tessuto della nostra vita?

Questa è la nostra condizione, così drammaticamente lacerata, ma anche capace di trascendere l’ orizzonte della rassegnazione e della sconfitta, alla ricerca di una domanda di senso e di speranza.

Nel profondo di questa ricerca qualcosa ci orienta verso il mistero: ”Dio, chi sei? Dove sei? Chi sono io per te?”. Per il filosofo protestante Soeren Kierkegaard: ”credere significa stare sull'orlo dell'abisso oscuro e sentire una voce che grida: gettati, ti prenderò tra le mie braccia!”.

Abbiamo tutti domande inquietanti che cercano risposte concrete e progetti positivi. Però spesso non si tratta di aspettare eventi clamorosi, ma di saper decifrare piccoli segni, come il profeta Elia sull'Oreb riconosce Dio non nel vento, nel fuoco, nel terremoto, ma ”nel mormorio di una brezza leggera” (1° Re, 19).

Così si conclude la prima parte della lettera, attraversata dalle domande e dalle attese della vita personale e della storia. Chi ha già fatto l'esperienza della fede riconosce che c'è qualcuno capace di accoglierle e sostenerle, ha un nome e un volto: è il Dio di Gesù Cristo, che si fa compagno di strada di ognuno di noi.

Le pagine successive si aprono all'annuncio: Gesù, la novità delle parole e dei gesti, il dramma della morte e l’annuncio sorprendente della resurrezione.

Questa prospettiva illumina la vita del credente anche nel duro confronto con i limiti della fragilità, della malattia, della morte; la fede ci immette in una vicenda pasquale, fino all’incontro con Lui, Gesù risorto e vincitore della morte.

Diciamo allora con Agostino: ”Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".

Luisa Malesani

 

 

Lettera ai cercatori di Dio

Conferenza episcopale italiana - 2009 Centro editoriale dehoniano - pagine 80 - Euro 2,00

trovate il testo del documento anche su Internet, cliccate qui

 

 

torna all'indice - Vita Nostra marzo 2010 - anno 5 numero 1