SPECIALE TERRASANTA
Dal 20 al 27 maggio, un gruppo di parrocchiani e il nostro parroco, Padre
Roberto, con la guida
illuminata e illuminante di Padre Giuseppe Casarin, hanno compiuto un
pellegrinaggio in Terrasanta. Raccontiamo
questa esperienza ricchissima di emozioni e spunti di riflessione in uno
spazio “speciale” di questo numero di Vita Nostra |
Contrasti e contraddizioni caratterizzano questa terra,
che è Santa per i fedeli delle tre grandi religioni monoteiste: giudaismo,
cristianesimo e islamismo, che qui affondano le loro radici storiche. Questo piccolo angolo del Medio Oriente è stato testimone
di una storia unica, perché qui Dio ha scelto di rivelarsi agli uomini, qui
si è incarnato nel Figlio, rivelazione vivente di un messaggio di amore e
perdono. Eppure questa terra ha alle spalle una millenaria storia di
invasioni, guerre, distruzioni, rivalse politiche e religiose, che tutt'oggi
perdurano e che la rendono uno dei nodi nevralgici per il processo di pace
sullo scenario mondiale. Ciò che turba, soprattutto noi cristiani, è che per lo
più le sopraffazioni e le ostilità siano avvenute proprio in nome della
religione e dei Luoghi Santi. Ancor più disorientano, amareggiano e perfino
scandalizzano, la divisione e i contrasti tra le stesse confessioni
cristiane: latina, greco-ortodossa e armena, che si dividono e contendono la
proprietà e il diritto di officiatura in alcuni dei più significativi Luoghi
Santi. Lo spettacolo del Santo Sepolcro è, a questo proposito,
tristemente esemplare. La gestione del complesso è regolata da uno speciale
statuto, denominato “Statu Quo”, emanato dalle autorità turche nel 1852, che
non ha comunque facilitato il rapporto tra le tre Chiese per quanto riguarda
i lavori di restauro e la manutenzione. Lo “Statu Quo” riguarda anche la
Tomba di Maria a Gerusalemme, e la Basilica e la Grotta della Natività a
Betlemme. Nessun altro luogo al mondo, come la Terra Santa, è da
2000 anni punto di incontro, scontro e convivenza di svariate confessioni
religiose. Si spera che esse possano, in nome dell'unico Dio, imparare a
parlare il linguaggio evangelico dell'amore, perché si adempia la promessa
cantata dagli angeli a Betlemme: “... e pace in terra ...”. L'amarezza per questi contrasti si stempera nel ricordo
dei bellissimi paesaggi naturali che abbiamo visto nel corso del
pellegrinaggio e che rendono l'ambiente affascinante proprio per la loro
varietà e diversità.
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Un posto particolarmente affascinante in Galilea, dove
abbiamo anche celebrato una Santa Messa, è il giardino che circonda la
Basilica della Collina delle Beatitudini, con tanti fiori coloratissimi e
alberi rigogliosi. Scendendo verso Sud, la vegetazione e le colline
diradano, e nell'arco di qualche decina di chilometri ci si trova nel mezzo
di un territorio desertico, arido e selvaggio, di rara suggestione. Ci ha
affascinato l'incredibile panorama offerto dal deserto di Giuda, che si
allunga per 80 chilometri da Nord a Sud e separa il Mar Morto da Gerusalemme
per una larghezza di circa 25 chilometri; è caratterizzato da rocce calcaree
di un colore che varia, a seconda della luce, dal giallo ocra al rosso. Il
deserto di Giuda è tutto un succedersi di monti, altipiani, valli e “wadi”,
che costituiscono i letti dei corsi d'acqua, stagionali ma impetuosi, che si
formano in un breve periodo di piogge torrenziali e a volte sono profondi
come canyon. È in questo deserto che si è svolta la predicazione di
Giovanni il Battista, ed è qui che sono sorti, fin dai primi secoli dell'era
cristiana, numerosi monasteri, spesso “incastonati” nelle pareti rocciose
dei wadi. Il contrasto tra questo paesaggio e quello della Galilea, distante
un centinaio di chilometri, è assolutamente indimenticabile. C'è infine un terzo tipo di contrasti che ci ha
profondamente impressionato, ed è quello sociale che riguarda le due
popolazioni degli Ebrei e dei Palestinesi. Questi ultimi vivono in parte
all'interno dello Stato di Israele e in parte nei territori occupati; da
alcuni anni sono divisi da un muro di cemento, alto otto metri, che si snoda
sulle colline come un serpentone grigio per oltre 700 chilometri da Nord a
Sud, creando una linea tortuosissima di separazione tra due mondi.
Il nostro pellegrinaggio ci ha consentito di sfiorare
appena i problemi che questo muro ha generato. Alcune delle problematiche ci
sono state bene illustrate dalle Suore Elisabettiane
del Caritas Baby Hospital di Betlemme, che
abbiamo visitato, e da una volontaria israeliana dell'associazione
Machsom-Watch, nata a seguito di soprusi esercitati ai posti di blocco. Chiunque però varchi uno di questi posti di blocco
attorno a Gerusalemme per passare nei territori occupati, non può non
restare stupito dallo stridente contrasto e dalla diversità del tenore di
vita tra le due realtà sociali. Nell'arco di pochi chilometri, usciti dalla
città, Santa per eccellenza, meravigliosa per lo splendore della cupola
d'oro della grande moschea, per il riflesso ambrato delle lunghe mura della
città antica, con una vita tumultuosa e simile per molti versi a quella di
una metropoli europea, ci si trova immersi in un mondo che ci riporta
indietro nel tempo, con abitazioni, negozi e costumi tipici di un mondo
arabo povero e arretrato.
Paola e Luigi Salce |
I contrasti nella vegetazione: meravigliosi giardini con splendide
bougainville ...
… il il giardino che circonda la Basilica
della Collina delle Beatitudini ...
… il deserto di Giuda: incastonato,
il monastero di San Giorgio in Kotziba
Sobborghi di Gerusalemme, con sullo sfondo il muro
alto otto metri che si snoda sulle colline |
IL CARITAS BABY HOSPITAL DI BETLEMME
All’entrata del Caritas Baby Hospital, noi pellegrini con Suor
Lucia |
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Essere pellegrini non è semplicemente essere turisti: si parte con il cuore pronto a cercare il lato più profondo delle cose. È con questo stato d’animo che nel corso del pellegrinaggio in Terrasanta mi sono preparata a visitare il Caritas Baby Hospital di Betlemme, l’unico ospedale pediatrico della Cisgiordania. Ero pronta a una situazione negativa nell’ospedale e non mi sarei mai aspettata di vedere invece tanta voglia di vita, tanta determinazione nell’affrontare i problemi e nel risolverli, o almeno cercare in tutti i modi di farlo. Perché, nonostante con tutte le forze si cerchi di trovare un rimedio a tutte le difficoltà con cui il personale dell’ospedale viene a contatto ogni giorno, non sempre la capacità e l’esperienza dei medici e degli infermieri o la speranza e la fede delle famiglie riescono a fronteggiare gli ostacoli posti dagli uomini: le difficoltà negli spostamenti dei malati dovute alle restrizioni cautelari, la cattiva qualità dell’acqua, l’alta mortalità materna ed infantile e la situazione economica stagnante sono tutti fattori che mal si conciliano con l’eccellente lavoro dell’ospedale. |
Quello che ci ha accolti quando siamo scesi dal pullman è
stato, a sorpresa, il caldo sorriso di suor Lucia Meschi, una delle
responsabili dell’ospedale. La struttura accogliente dell’ospedale è stata
un’altra sorpresa per me: mi ha particolarmente stupito vedere le mamme che
portavano fuori i loro bambini per farli giocare fra di loro all’aria
aperta. Una cosa così semplice, così banale per noi a Padova, ma così bella
per me, che ricorderò con piacere i sorrisi delle mamme e dei bambini mentre
li salutavo.
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Avere la possibilità di vedere il Caritas Baby Hospital mi ha resa una
persona più forte: mi ha aperto gli occhi e il cuore di fronte a una
realtà che prima non conoscevo. Mi sarebbe piaciuto rimanere di più per
dare una mano, ma non potevo e oggettivamente non sarei stata di grande
aiuto. Qui, come in molte altre situazioni anche vicino a noi dove si
può operare come volontari, è necessario avere determinate capacità e
competenze. Tuttavia mi sono ricordata con questa visita che la cosa più
importante nell’essere volontari è il cuore che ci metti, la buona
volontà e la disponibilità. Certo: la Terrasanta mi è rimasta nel cuore, e nel
cuore porterò sempre la forza che mi ha dato la visita a questo
ospedale. Forse il futuro mi porterà di nuovo lì, magari con le giuste
competenze e capacità per essere utile. Irene Bertulli |
Nazareth, sera del 21 maggio 2011. Alla recita dell’Angelus Domini nuntiavit Mariae
durante il rosario comunitario nel piazzale della Basilica
dell’Annunciazione, una parola di tre lettere, un avverbio
apparentemente insignificante, colpisce in modo totalmente imprevisto le
nostre orecchie, gradualmente si fa strada nelle nostre menti e penetra nei
nostri cuori, come una nota che avrebbe fatto risuonare della giusta armonia
tutto il percorso spirituale del nostro pellegrinaggio. “HIC” Verbum Caro factum est, qui, proprio “QUI”
il Verbo si è fatto Carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Un “QUI”, che non si pronuncia in nessun altro luogo e in
nessun’altra celebrazione, ha avuto il potere di dare inusuale concretezza
umana ad eventi che con la ragione percepiamo lontani e poco verosimili.
“QUI” a Nazareth, nella povera Grotta dell’Annunciazione,
tutto è apparso più vero, reale, o semplicemente concreto. "QUI"
l'impossibile è diventato, in modo inaspettato e misterioso, toccabile con
mano, possibile; "QUI" la fede dubbiosa, complicata, in perenne ricerca, ha
trovato una pausa di respiro, inaspettatamente rasserenata; ha percepito,
con sensazione nuova, che in questi luoghi è veramente iniziata la storia
della salvezza dell'umanità che da "QUI" si è estesa ai confini della terra
e del tempo, per raggiungere noi uomini contemporanei e i nostri fratelli
che sono vissuti prima di noi e che vivranno dopo di noi. "QUI" il mistero
dell'incarnazione, proclamato troppo spesso con ritualità indifferente nella
recita del nostro Credo, irrompendo con fede accresciuta dalla forza del
luogo, diventa evento credibile. Come i primi pellegrini che sulla parete della Cappella
di Sant’Elena, nella Basilica del Santo Sepolcro, hanno scritto: "Domine
ivimus", "Signore, siamo venuti", anche noi, ora, possiamo dire: siamo stati
qui, "parte di una chiesa in cammino che da sempre viene in questi luoghi,
sorgente della nostra fede e della nostra speranza", come ci fa meditare
padre Giuseppe. È la speranza che viene da quella tomba vuota del Santo
Sepolcro, vuota perché piena di vita, che alimenta la nostra fede che, senza
Resurrezione, sarebbe vana. Anche per noi, come per i discepoli di Emmaus, da quella tomba vuota si è sprigionata la presenza di Gesù; come loro anche noi, percorrendo quei luoghi, abbiamo sentito, forse per la prima volta, "ardere il cuore nel petto". Perché la Sua è una presenza discreta, che il nostro animo non percepisce quando è indaffarato e distratto, ma reale, presente e sensibile alle necessità di chi è nel bisogno. |
Come a
Cafarnao, dove Gesù,
“annunciando il vangelo del Regno, guariva ogni sorta di malattie ed
infermità”. Come sulle rive del Lago di
Tiberiade, quando Gesù invitò i discepoli a
mangiare il pane e i pesci miracolosamente pescati e cotti su quella
grande pietra che anche
noi, pellegrini fra i pellegrini, abbiamo toccato facendo memoria di quei
momenti in cui il Signore ancora una volta si rivela Risorto e rassicura
della sua presenza i suoi. Come a Pietro, anche a noi Gesù ha detto: "Mi
ami tu?” (Gv, 21, 1-23). Una domanda che, come una verifica
della nostra adesione a Lui, ha risuonato in noi lungo la strada che Gesù ha
percorso durante la sua Passione: nel giardino del
Getzemani, dove Gesù fu
tradito da Giuda; su per quella scala,
che ha portato Gesù ai tribunali per essere giudicato; lungo la
Via dolorosa che, sotto
il peso della croce, tra gente che lo scherniva e nella sofferenza, Gesù ha
percorso fino alla crocifissione sul Calvario. Anche noi abbiamo ripercorso le stazioni di quella via
dolorosa e, come allora, anche noi abbiamo camminato tra gente rumorosa ed
indifferente. Ma quella confusione fastidiosa, quel vociare chiassoso,
gradualmente, stazione dopo stazione si sono attenuati e sono diventati,
paradossalmente, come per una regia dello Spirito, motivo di raccoglimento,
di riflessione, di coinvolgimento spirituale e sintonia con la Via Crucis di
Gesù. Perché nel cuore avevamo quella domanda: Mi ami tu? “Mi ami tu?” chiede a Pietro per tre volte Gesù risorto. È “la”
domanda: intercetta il nostro bisogno di senso, colloca in una dimensione
inaspettata i tanti irrisolti perché della nostra esistenza, svela
l’inadeguatezza dei nostri ostinati compromessi. Siamo in cammino sulla terra del Santo, procediamo per
tappe, nella provvisorietà dell’andare sperimentiamo, sulle orme di Gesù, in
ascolto della sua Parola, un itinerario di ricerca di un incontro vitale e
salvifico che dia speranza, coraggio e unità alle nostre vite frammentate.
Non siamo viandanti disorientati e sfiduciati, siamo pellegrini spinti dal
desiderio di costruire, rinnovare, ristabilire una relazione personale con
Cristo. “Seguimi” è l’invito che Gesù
rivolge a Pietro, sempre nell’episodio ricordato da Giovanni. È un richiamo
anche per noi: a partire da Nazareth, da quei trent’anni trascorsi nel
nascondimento, nell’irrilevanza di un ordinario quotidiano, vissuto
nell’intimità sempre più stretta con il Padre, Abbà, fino al dono di sé
sulla croce, fino a quella tomba che constatiamo vuota. Farci nazareni, umanizzare le nostre esistenze, percorrere le nostre Galilee nella fiducia in un Signore che ci chiama per nome, cammina con noi, fedele da sempre e per sempre alle sue promesse: ecco il senso. Raffaella e Francesco Pietrogrande |
La Basilica
dell’Annunciazione:
“HIC” Verbum Caro factum
est Cafarnao
Il Lago di Tiberiade
La
grande pietra
nella chiesa del Primato (Tabga) |
Siamo qui seduti ad ammirare le nuvole che corrono veloci
sopra le cime dei Lagorai … il verde intenso del bosco dopo le piogge della
notte … il torrente cristallino che scende a valle … paesaggi di incredibile
bellezza che trasmettono un senso profondo di pace e di serenità; colori che
evocano nella mente altre immagini e riportano indietro nel tempo, facendoci
rivivere l’esperienza del nostro primo pellegrinaggio in Terrasanta,
condiviso con buoni compagni di viaggio. I volti … quelli non si possono
dimenticare! Nonostante quasi tutti ci conoscessimo già da tempo, c’era una
luce particolare e diversa nei nostri sguardi: ognuno di noi partiva con il
suo bagaglio di emozioni, di aspettative … di attesa. Forse è stata
proprio questa eterogeneità di sentimenti a far sì che, fin da subito, il
gruppo abbia raggiunto una buona intesa: tanti sono stati i momenti di
condivisione e di fraternità vissuti insieme. È stato bello ritrovarsi quasi tutte le mattine a
celebrare insieme l’Eucaristia: l’ascolto della Parola, il cantare e il
pregare insieme ci fornivano la carica per vivere le diverse tappe che, ogni
giorno, ci aspettavano. |
Come sarebbero stati i nostri spostamenti senza la
“conta” puntuale di Irene (“… ventisei, ventisette, tutti”), il generoso
servizio di “spazzola” di Vincenzo (per non perdere nessuno per strada), le
caramelle di Maddalena ad addolcire il percorso e i bellissimi servizi
fotografici di Silvio? E poi ci sono stati i pranzi e le cene condivisi in
un’atmosfera di familiarità scambiandoci impressioni, sensazioni, emozioni,
raccontandoci reciprocamente e aprendo i nostri cuori ad una conoscenza più
profonda. È stato, senza ombra di dubbio, un viaggio che ci ha fatti
“crescere”, perché ha riunito in sé sfaccettature diverse, ma tutte
importanti, del nostro essere uomini e cristiani; il gustare con gli occhi
la bellezza della natura nei suoi variegati toni di colore, il vivere con
spiritualità e commozione i luoghi in cui ha camminato Gesù, nostro Signore
e Maestro, il riscoprire il dono prezioso ed incomparabile dell’amicizia
attraverso gesti semplici e genuini di condivisione. Non è un percorso che si può fare da soli, anche Gesù
aveva con sé i suoi amici, che sono cresciuti camminando con lui. Era forte
il desiderio di condividere, è stato troppo poco il tempo per parlare con
tutti. Ma non sempre servono le parole. Siamo tornati con la voglia di
camminare ancora, insieme. In questo viaggio, alcuni hanno fatto un servizio
speciale, in particolare nella preparazione. Non li ringraziamo, ma li
abbracciamo come fratelli. Anna e Mauro Feltini |
Basilica del Santo Sepolcro, 24 maggio ore 5.30.
Celebriamo la S. Messa nella cappella
accanto alla pietra del
Calvario
Via Crucis lungo la
Via Dolorosa |
In 23 parrocchiani di s. Camillo abbiamo partecipato al pellegrinaggio in Terra Santa dal 20 al 27 maggio e, a rappresentare tutti, c’era P. Roberto, il nostro parroco, presente come pellegrino. A noi si erano aggiunte altre 6 persone provenienti da altre parrocchie. Riandando con il pensiero ai giorni passati in Terra Santa assieme agli altri, posso dire che questo pellegrinaggio, fin dall’inizio, ha assunto, per me, i contorni e i caratteri di una settimana particolare di Esercizi Spirituali, un periodo, cioè, di riesame della mia vita di fede, del mio rapporto e delle mie relazioni con Gesù e, di conseguenza, anche con i fratelli e le sorelle I vari luoghi della vita di Gesù sono stati tutti visitati alla luce di quanto possiamo leggere nella Bibbia e nei Vangeli e rivisitati con le illuminazioni che lo Spirito Santo ci suggeriva o ci passava gradualmente P. Giuseppe Casarin, dei Frati Minori Conventuali, che ci ha accompagnati con molta discrezione ma anche con molta umanità, saggezza e competenza come guida in questo pellegrinaggio. Nel nostro cammino siamo passati dalla Galilea alla Giudea: da Nazareth, dove è vissuto Gesù fino ai 30 anni, a Cafarnao, luogo della sua vita pubblica, per concludere il nostro pellegrinaggio a Gerusalemme dove Gesù è morto e risorto. La nostra guida ci ha invitati, fin dall’inizio, ad assumere, nel nostro pellegrinaggio, lo stile di vita di Abramo che chiamato da Dio ha abbandonato la sua terra, le sue sicurezze e le sue certezze per fidarsi di una promessa e della parola di Dio. Siamo stati invitati ad andare in pellegrinaggio alle sorgenti della nostra fede, incontro a Gesù che ci attendeva per comunicarci la “ Buona Notizia” che il Regno di Dio era presente nella nostra storia. A noi aprire i nostri cuori per seguire la sua chiamata e partecipare agli altri le ricchezze di gioia spirituale accumulata nel nostro cuore. Confesso di essere stato particolarmente colpito ed impressionato in questo pellegrinaggio dai giorni passati a Nazareth. Abbiamo visitato tutti i luoghi dove si sono verificati gli eventi iniziali della vita di Maria, di Gesù e di Giuseppe. Abbiamo visitato la grotta dell’Annunciazione dove è avvenuta l’Incarnazione di Gesù: un evento sconvolgente, non facilmente comprensibile: il Figlio di Dio che accetta l’invito del Padre di farsi uomo come noi, vivere la vita in una famiglia modesta e normale, crescendo come tutti i bambini e i ragazzi, imparando un lavoro, a dialogare e a rapportarsi con Giuseppe e Maria, aprendosi alle relazioni con i ragazzi e ragazze di Nazareth, frequentando la sinagoga per imparare a coltivare il rapporto con il Padre Celeste, imparare a leggere e a scrivere per mettere le basi solide di una formazione che lo avrebbe aiutato ad affrontare la vita pubblica. Questi anni della vita di Gesù, passati nel nascondimento, lo hanno aiutato a maturare e a crescere per conoscere tutte le cose grandi che Dio ha fatto nel mondo, per realizzarle e portarle a compimento. Avevo sempre pensato che il tempo passato da Gesù a Nazareth fosse stato in parte tempo sprecato che egli poteva usare meglio iniziando prima la vita pubblica: mi sono dovuto ricredere e rivedere il mio modo di pensare. I 30 anni di vita nascosta passati da Gesù a Nazareth, sono stati 30 anni di una scuola fatta di silenzio, di relazioni e di lavoro che lo hanno maturato e preparato alla vita. Per me, è sempre stato difficile accettare la povertà e l’umiltà di vita di Gesù a Nazareth; anche senza averli mai letti, pensavo che Gesù conducesse a Nazareth la vita descritta dai Vangeli apocrifi secondo i quali, molto spesso, Gesù risolveva le situazioni difficili con interventi miracolosi. Vediamo Giuseppe che in tutti i Vangeli non dice una parola ma che è detto “ giusto” perché ha sempre compiuto la volontà di Dio. Uomo giusto come Mosè e Abramo. La figura di Giuseppe, nel suo silenzio, è molto paterna: senza tante parole, Giuseppe insegna il suo lavoro a Gesù, lo inserisce in società, lo presenta nella sinagoga, gli trasmette la fede in Dio e nei valori umani e gli insegna la storia del suo popolo. Quando Gesù parla di Dio, lo chiama Abbà… papà, termine che ricorda la sua esperienza familiare e traduce nel vezzeggiativo tutto l’amore paterno che Gesù ha avuto da Giuseppe, suo padre putativo. A Nazareth vediamo anche Maria nella sua umanità di fronte al mistero di Dio. Essa si muove e vive sempre con cautela,semplicità ma, a volte, penso anche con fatica, in quanto non sempre riesce a comprendere e a leggere la volontà di Dio su di lei. Conosciamo l’epifania dell’Annunciazione da parte dell’Angelo Gabriele ma vediamo, poi, Maria vivere quotidianamente una vita normale che, quasi quasi, le fa dimenticare il ricordo della sua chiamata. La visita al tempio e l’incontro con la profetessa Anna e il vecchio Simeone risvegliano eventi futuri molto dolorosi per Maria. La perdita di Gesù al tempio e le sue parole piuttosto incomprensibili per lei, dette anche , a mio parere, in un tono un po’ brusco non hanno aiutato a far luce nel cuore di Maria che “conservava tutte quelle cose nel suo animo per meditarle”. Anche per Maria i 30 anni passati a Nazareth con Gesù, sono stati 30 anni di continua crescita nella fede, di comprensione della sua chiamata che maturava gradualmente nella fede, nella meditazione e nella riflessione.
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Il 31 maggio, Elisabetta, nella sua vecchiaia, vede accolta la sua preghiera di avere un figlio e nell’incontro con Maria essa ringrazia Dio per avere ascoltato la sua richiesta e rivolgendosi a Maria la dichiara “ beata per avere creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Maria risponde ad Elisabetta con il canto del Magnificat in cui raccoglie le espressioni più belle della Bibbia per far conoscere al mondo la gioia che ella sente nel suo cuore” per le grandi cose che Dio ha operato in lei e nel mondo. Certamente nelle ore passate da Maria accanto a Gesù durante gli anni dell’infanzia e della sua giovinezza, Maria avrà manifestato spesso a Gesù la gioia che riempiva il suo cuore per quanto il Signore aveva compiuto in lei. Essa avrà, senz’altro, riconosciuto che tutto viene da Dio e il suo agire viene letto, visto e inserito in una storia di misericordia che Gesù presenterà agli uomini nella Carta programmatica” del suo Regno: le Beatitudini che dichiarano beati i poveri, i miti, gli umili, i sofferenti…le persone umili e modeste di Nazareth e dei villaggi dove Gesù ha passato la sua infanzia. La spiritualità della vita nascosta della famiglia di Nazareth è stata vissuta dal beato Charles de Foucauld che per 3 anni visse a Nazareth sforzandosi di immergersi nel silenzio, nella vita vissuta di tutti i giorni, nella preghiera per imparare a valorizzare la lezione di umiltà e di vita quotidiana dataci dalla Santa Famiglia. La spiritualità della famiglia di Nazareth vissuta da Charles de Foucauld, è seguita oggi, come ci ha raccontato con gioia ed entusiasmo, il fratello Giovanni Paolo, novizio dei Piccoli Fratelli di Gesù, una delle tante associazioni religiose e laicali che seguono e vivono questa spiritualità fatta di vita semplice, feriale dove uno spazio importante del giorno è riservato alla preghiera, alla meditazione, al silenzio, al lavoro e ad intessere relazioni umane e fraterne con gli altri e tutto questo nel massimo rispetto della libertà di tutti, senza alcun tentativo di proselitismo religioso: non ci sono discorsi per convincere gli altri, i quali si trovano ad avere solo una vita umile, coerente e laboriosa con cui confrontarsi. Tutti gli altri luoghi della Terra
Santa che sono stati visitati e che hanno segnato i momenti fondamentali
della vita di Gesù non mi hanno dato l’emozione e la scossa che ho sentito e
provato nei vari luoghi di Nazareth. Il Tabor, Naim, Cana, Cafarnao, il
monte delle Beatitudini, il Lago di Tiberiade, Gerico, Betlemme, il Campo
dei Pastori, Betfage,Betania, Betsaida, La nostra guida, p. Casarin, in questi luoghi ci ripeteva continuamente di pensare all’amore che Gesù ha avuto per noi: amore sempre più grande, sempre più abbondante fino ad arrivare alla profusione totale del suo amore, là sul Golgota, dove veramente ha dato tutto se stesso per la nostra redenzione. Ho sentito anche gli altri partecipanti al pellegrinaggio: tutti l’hanno vissuto intensamente; tutti sono stati toccati da determinati luoghi: dalla povertà e umiltà di Gesù a Betlemme, dalla generosità e dall’amore che si respirava e sentiva nel Cenacolo, dalla sovrabbondanza dell’amore personale di Gesù sul Calvario che hanno lasciato in ciascuno dei partecipanti un segno particolare e vivo. Questi luoghi, però, non mi hanno impressionato e toccato come, invece, mi è capitato con i luoghi visti a Nazareth. L’ultima tappa del nostro pellegrinaggio è stata ad Emmaus: il ricordo dei 2 discepoli che si allontanavano delusi per la crocifissione di Gesù a Gerusalemme, del loro incontro con il viandante sconosciuto che un po’ alla volta ha riscaldato il loro cuore ricordando quanto avevano detto i profeti su Gesù di Nazareth che doveva morire per poi risorgere, l’insistenza dei 2 discepoli perché, arrivati ad Emmaus, il pellegrino rimanesse con loro a cena perché si faceva sera e il riconoscimento di Gesù allo spezzare del pane , hanno commosso tutti noi che abbiamo partecipato al pellegrinaggio che, al termine della visita, abbiamo supplicato Gesù che ci aveva accompagnati in questi 7 giorni e aveva chiarito, attraverso la parola della guida, i nostri dubbi, a rimanere sempre con noi per rischiarare e illuminare la nostra vita. Ringrazio il Signore per la gioia e la gratitudine che mi hanno fatto provare e per il clima di fraternità che si è instaurato fra tutti i partecipanti al pellegrinaggio in Terra Santa. Gaetano Meda
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Museo di Nazareth - graffito del pellegrino Basilica della Trasfigurazione sul Monte Tabor, interno disegno del complesso del santuario a Nazareth Mercatino di Nazareth Cafarnao. La Sinagoga, particolare Sulle rive del Giordano Qumram. I bagni rituali degli Esseni Le mura di Gerusalemme dalla porta di Giaffa, quartiere sud-ovest |
Inseriamo in questo speciale il ricordo di due pellegrinaggi in Terrasanta, più lontani nel tempo ma vicini nel cuore, raccontati da una coppia di nostri parrocchiani
Dei due pellegrinaggi in Terra Santa, il secondo fu certamente più ricco e più rigoroso dal punto di vista biblico e storico, ma l’emozione della “prima volta” è irrepetibile. Pertanto la nostra memoria va al primo incontro con la Terra di Gesù. (quando, nei primi anni ’90, nei luoghi prevalentemente cristiani erano meno evidenti gli insediamenti israeliani e Gerusalemme non era ancora circoscritta da pesanti mura). Quale trepidazione quando, giunti alla sommità del colle. don Giovanni Leonardi intonò il salmo 122: “Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore; e ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme ! ( in realtà siamo seduti in pullman….) La Galilea Ma la prima tappa del nostro itinerario è la Galilea: abbiamo ancora negli occhi il colore delle bouganvilles e degli ibiscus e sullo sfondo l’azzurro del lago di Tiberiade. Il primo incontro è con Nazareth: al centro la chiesa dell’Annunciazione circondata dalla dolce corolla delle colline – (non era ancora arrivato il cemento). All’interno la piccola grotta con l’iscrizione “Hic verbum caro factum est”: l’annuncio della salvezza. In un intonaco sottostante si è trovato un graffito con la prima “Ave Maria” della storia, in lingua greca: “ Chaire Maria, Rallegrati Maria”; ora la riforma biblica del Messale dovrebbe rendere quotidiana questa parola nella nostra preghiera. L’itinerario continua: i nomi, presenti nella memoria, ma in modo un po’ asettico, si fanno vibranti e diventano luoghi, persone, parole, gesti: Cana (le giare del vino), Cafarnao (la Sinagoga), Tiberiade (il lago), Tabor (la trasfigurazione), il monte delle Beatitudini…. A Cafarnao apprendiamo che gli scavi hanno riportato alla luce un’abitazione del 1° sec. che potrebbe essere la casa di Pietro e, - secondo un archeologo spiritoso - la pentola ritrovata potrebbe essere quella della suocera dell’ apostolo, guarita da Gesù. Prendiamo il largo su un battello: il lago è uno specchio tranquillo, ma giunti al centro, il Vescovo Antonio legge il miracolo della tempesta sedata e la viviamo con trepidazione e quasi con paura… Poi….tutti a mangiare il “pesce di Pietro”. Scendendo dal Tabor: risuona in noi il racconto degli evangelisti che hanno visto il volto del Signore trasfigurato e le sue vesti diventare candide come la neve. L’ultima tappa è l’altura delle beatitudini: ci sediamo in cerchio; tra lo stormire degli oleandri, ascoltiamo Matteo e Luca che proclamano la nuova legge dell’amore; accanto, un gruppo di giapponesi legge e prega: volti, voci e gesti diversi; è l’universalità del Vangelo ! La Giudea Saliamo ad Ain Karim, piccolo borgo su una verde collina dove – secondo la tradizione – avvenne l’incontro di Maria ed Elisabetta: la vergine intonò il “Magnificat” in risposta al saluto della cugina e il piccolo Giovanni sussultò nel grembo dell’anziana madre, riconoscendo la presenza del Salvatore nel grembo della mamma giovane. Nel cortile antistante la chiesa il “magnificat” è scritto su maioliche in tantissime lingue. Nei pressi di Gerusalemme facciamo una sosta a Betlemme, per un preghiera nella grotta della natività e una commovente visita al Baby Hospital. Eccoci finalmente a Gerusalemme, striata dal sangue del passato e del presente, anche se un’etimologia popolare la definisce “città della pace” (da shalom). E’ chiamata anche “pupilla del mondo”- secondo una tradizione giudaica - in cui si riflette tutta la storia umana. E’ ciò che afferma anche un famoso testo rabbinico: “Dieci quantità di bellezza sono state date da Dio al mondo e Gerusalemme ne ha avute nove; dieci quantità di sapienza sono state date da Dio al mondo e Gerusalemme ne ha ricevute nove; ma anche dieci quantità di sofferenza sono state date da Dio al mondo e Gerusalemme ne ha ricevute nove !” |
Le pietre di Gerusalemme Tre sono le pietre simboliche care alle tre grandi religioni monoteistiche, ebraismo, cristianesimo e islam, presenti nella città vecchia, a poca distanza l’una dall’altra (e causa della sua storia tormentata): il “muro del pianto”, il santo Sepolcro, la Cupola della roccia. Oggi gli ebrei non possono più recarsi al santuario di Salomone, distrutto dai babilonesi, né a quello di Erode, distrutto da Tito, ma rivolgono la loro preghiera e il loro pianto ad un bastione che sosteneva il tempio ed è rimasto intatto.. Osserviamo in silenzio il loro modo di pregare; sono solo uomini (le donne pregano a parte)…. il dondolio che coinvolge tutto il corpo, il gesto di infilare negli interstizi delle pietre rotolini di carta con le invocazioni; guardiamo incuriositi gli “ebrei ortodossi” nei loro giubboni neri, coi lunghi riccioli e i “filatteri” legati alla fronte e al braccio. Pregano e piangono gli Ebrei nel luogo ove per loro si manifesta la grandezza di Dio e la fragilità dell’uomo. Proprio sulla spianata ove sorgeva il tempio degli ebrei, oggi s’ innalza un’altra pietra simbolica: per i mussulmani la “Cupola della roccia”. E’ lo splendido profilo della Moschea di Omar. Entriamo, dopo esserci tolti le scarpe, nel luogo silenzioso reso suggestivo dalle maioliche colorate, camminiamo su morbidi tappeti verso il centro, una roccia sovrastata dalla cupola dorata; qui – secondo la tradizione – Abramo avrebbe condotto Isacco (o Ismaele) e qui Maometto sarebbe asceso al cielo. Ci raccogliamo in silenzio, sentiamo forte la presenza del sacro. La terza pietra è quella della basilica del Santo Sepolcro che illumina la nostra speranza: è la pietra ribaltata della tomba di Gesù; giustamente i nostri fratelli ortodossi chiamano questo luogo “Anastasis” che in greco significa Risurrezione. In realtà, varcato il portale della basilica, incontriamo un’altra roccia, quella del Calvario, detta in aramaico “Golgota” (cioè cranio) e una lastra marmorea attira la nostra attenzione: è la pietra dell’unzione dove il corpo di Gesù sarebbe stato cosparso di oli aromatici. Ma la pietra che cerchiamo è un’altra: attraverso una porta bassa entriamo inclinati nella cappella ove una lastra marmorea nasconde la roccia del sepolcro: Vedere la tomba vuota, capire i segni, credere che Gesù è risorto, sentire il cuore che batte forte…. Ritorneremo alle nostre case, per annunciare la sua presenza a chi ha visto solo il vuoto del sepolcro, a chi è stanco e smarrito, per annunciare: “Gesù non è lì, è risorto, “come aveva detto”. Qumram L’ultima tappa è Qumram, presso il Mar Morto. Visitiamo i ruderi del monastero degli Esseni dove ancora si riconoscono la cisterna, i laboratori e tanti oggetti d’uso quotidiano. Ma Qumram è famoso per un fatto clamoroso: nel 1947 un beduino, inseguendo una capra tra le grotte che sovrastano il monastero, trovò delle giare contenenti dei rotoli manoscritti; gli studiosi riconobbero molti testi biblici, tra cui il libro di Isaia scritto su un rotolo di pergamena di sette metri. I monaci del Mar Morto avevano nascosto le preziose anfore per salvarle dall’invasione romana del 70 d. C. Oggi il “tesoro” - che ha spostato indietro di almeno dieci secoli quanto della bibbia si conosceva prima della scoperta - è custodito a Gerusalemme, nel “Museo del libro” che ha il tetto –naturalmente- a forma di coperchio di giara !
Ritornati in Italia,.. ...Rileggiamo con maggior consapevolezza un pensiero della guida “Pellegrini in Terrasanta” di Ravasi. “Per capire gli uomini della Bibbia e lo stesso Gesù è necessario comprendere la terra in cui sono vissuti e si sono manifestati. La religione biblica infatti è la celebrazione di “un’incarnazione”, cioè dell’ingresso del divino nella trama dei giorni dell’uomo e all’interno delle strade del nostro pianeta. Questa guida perciò vuole svelare l’intreccio profondo tra fede e storia, tra salvezza e geografia, tra esperienza religiosa ed esperienza culturale e sociale”. Luisa e Gaetano Malesani |
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