GLI AUGURI DI BUON NATALE DEL PARROCO

Caro Gesù Bambino, cosa c’è di più semplice che formulare gli auguri di Buon Natale ai miei parrocchiani? Eppure quest’anno sto facendo fatica a scrivere due righe non banali, e così ricorro a te, perché tu certamente mi darai una mano. Del resto la cosa ti riguarda da vicino, non ti pare?

Ecco, se nella Notte Santa potessi fare il giro della parrocchia, suonare a tutti i campanelli, parlare a tutti i citofoni, gridare dalle strade sotto ogni finestra illuminata, vorrei dire semplicemente così: “Buon Natale, brava gente! Il Signore è sceso in questo mondo disperato. All’anagrafe umana si è fatto registrare con un nome che è tutto un programma: Emanuele! Che vuol dire: Dio con noi. E da quando è venuto ad abitare in mezzo a noi, non se ne è più andato: ancora non si è stancato di starsene quaggiù da noi. Forza amici cari, con Gesù che nasce rinasce la speranza!”

 

 

 

Caro Gesù, andando in città, mi domando se, formulati così, magari all’interno di un pianobar dove c’è gente tra panettoni e spumanti, che beve, fuma e si stordisce… o alla stazione ferroviaria, dove i senza fissa dimora, alla deriva, cercano un riparo al freddo e al gelo… fare auguri così, lungo alcune strade della nostra città, a tante povere prostitute trattate, perfino quella santa notte, come merce… o a tanti immigrati che sono qui a Padova e nella nostra Italia e ai quali noi cristiani ancora non siamo riusciti a dimostrare con i fatti di credere che Gesù è venuto anche per loro... mi domando: che effetto faranno auguri così?

Anche se credo che una materia incandescente e complessa come quella dell’immigrazione debba suggerire a tutti buon senso e un approccio non ideologico. Anche il Papa, negli ultimi tempi, ha parlato di “integrazione e prudenza”, distinguendo tra chi arriva in fuga dalle guerre e chi arriva alla ricerca del benessere. E allora? Dovrei puntare più in basso? Dovrei parlare un linguaggio più “soft”? No, caro Gesù, non me la sento di fare sconti al tuo Vangelo. Per due sante ragioni: la prima è che  proprio in tempo di crisi noi cristiani siamo chiamati ad annunciare speranze sempre più grandi di tutte le attese del mondo; la seconda è che ci saranno in giro germogli di speranza, finché la nostra città e la nostra parrocchia potranno avere una capanna di Betlemme e una Caritas dove tanta gente può trovare cibo, vestiti e un letto caldo.

 

Anche noi parrocchiani possiamo continuare a seminare speranza: certamente fiorirà e porterà frutto. Tra questi: la Casa di Accoglienza San Camillo (che è attiva da 18 anni), i pranzi di solidarietà, l’armadio della carità all’entrata della nostra chiesa, la teleadozione degli anziani, il servizio di assistenza alimentare (che aiuta una cinquantina di famiglie della parrocchia e di parrocchie vicine), un appartamento che ospita una famiglia di profughi nigeriani, le persone che fanno diverse forme di volontariato in carcere (tra cui  il gruppo che lì anima le messe).

Perciò ti chiedo un regalo. Metti una spina in noi cristiani di Padova e della parrocchia di San Camillo, facci capire che il modo più bello per prolungare la festa di Natale e il Giubileo della misericordia è quello di tenere viva la speranza, la fede in Dio, la misericordia e l’amore verso tutti e soprattutto verso i poveri, i piccoli, coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, i bisognosi, le persone sole e coloro che hanno paura di un futuro senza speranza.

E sarà un vero, buon Natale, caro Gesù.

P. Roberto

(si uniscono i sacerdoti collaboratori)

 

Foto del presepio nella nostra chiesa, lo scorso Natale

     
  

torna all'indice - Vita Nostra dicembre 2016 - anno 11 numero 3