CON IL CUORE DI PADRE

Carissimi parrocchiani,

           ho pensato di dedicare il consueto “editoriale” di Pasqua a San Giuseppe.

Il 2021: un anno speciale consacrato a San Giuseppe, è una grande grazia di cui si sente proprio il bisogno. Come si sente il bisogno di padri attivi e presenti, senza essere invadenti o iperprotettivi, capaci di indirizzare e consigliare evitando le imposizioni, pronti a esserci e a non tirarsi indietro.

Spero che come me ognuno abbia un ricordo indelebile di suo padre, di quanto ci amasse, di quanto fossimo dentro il suo cuore. Così deve essere stato per Gesù, amato intensamente da San Giuseppe, ogni volta che parlava del “Padre”, che annunciava il suo amore, la sua fedeltà, la sua misericordia e il perdono. Come San Giuseppe. Presente senza voler stare in primo piano, capace di stimolare senza sostituirsi, di pretendere e di correggere senza ferire. Come abbiamo bisogno di famiglie formate alla scuola della coppia di Nazareth, consapevoli del proprio ruolo imprescindibile, ma non gelosi e avidi, che rimettano nelle mani di Dio quello che ha dato e insegnino a ringraziare. Famiglie che non hanno paura delle rinunce.

Ben venga quest’anno dedicato a San Giuseppe, custode della Casa di Gesù, patrono della Chiesa Universale e vero padre anche per ognuno di noi, dei ragazzi e delle famiglie che con noi camminano sulla strada dell’esperienza cristiana. Possa quest’anno aiutarci a scoprire dove abita il vero amore: nel cuore del Padre.

Papa Francesco così comincia la sua Lettera apostolica: “Con cuore di Padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti i quattro vangeli “il figlio di Giuseppe”.

L’anno dedicato a San Giuseppe è una bella opportunità di riflessione per tutti i genitori, in modo speciale per i papà.

La paternità di Giuseppe diventa esemplare e significativa e a lui possono ispirarsi tutti coloro a cui sono affidati compiti educativi. “I genitori credenti guardano i loro figli con lo stesso sguardo che fu di San Giuseppe: i figli sono persone che Dio ha loro affidato” (Tomáš Špidlík). E alla paternità di Giuseppe possono ispirarsi tutti coloro che accettano di mettere al mondo un figlio. La paternità non è solo e prima di tutto un fatto fisico. Con la nascita di un figlio si diventa giuridicamente e fisicamente padre, ma essere padre è un ruolo a cui ci si prepara, è una vocazione. Si diventa Padre quando si accetta di vivere per qualcuno che ci è affidato, mettendoci al suo fianco con rispetto e dedizione fedele. 

A Giuseppe possono ispirarsi quegli uomini sempre pronti a fare la loro parte senza cercare ricompense, onori e guadagni. Gente che parla poco e non fa miracoli, ma sulla quale puoi sempre contare.

Giuseppe non è maschilista. Non solo non vuole esporre al pubblico ludibrio, o peggio alla lapidazione, Maria, ma in una società in cui la donna era fortemente subordinata all’uomo, egli accetta un ruolo secondario.

L’evoluzione culturale dei nostri anni ha reso un po’ tutti maggiormente consapevoli delle proprie qualità. Si fa fatica quindi ad accettare un lavoro collaborativo, un ruolo sociale poco importante, posizioni di secondo piano: Giuseppe ha accettato invece di svolgere un ruolo apparentemente umile e subordinato. E lo ha svolto senza fare il difficile, senza alcun risentimento, mettendosi a disposizione di Dio con impegno e semplicità. Qualcuno ha detto che Giuseppe è il santo dell’anti-protagonismo. E papa Benedetto XVI, parlando del santo di cui porta il nome, ha detto che “la grandezza di Giuseppe, al pari di quella di Maria, si è svolta nell’umiltà e nel nascondimento della casa di Nazareth”.

Viviamo una fase difficile della nostra storia, dobbiamo riscoprire ciò che conta, ciò che è essenziale e ciò che invece è superfluo, che è soggetto a dispersione. Tra questi valori che dobbiamo meglio riabbracciare c’è sicuramente il rapporto familiare con le persone care.

Il tempo che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo non deve scomparire dalla nostra memoria, dalla nostra anima, per renderci più umili, più saggi, più coesi gli uni verso gli altri. Cerchiamo di essere più benevoli gli uni verso gli altri, più coerenti nelle piccole cose di tutti i giorni.

La Pasqua è la chiave per leggere gli accadimenti e per poterli vivere in modo cristiano. Non limitiamo l’uso della parola “Risurrezione” solo al giorno di Pasqua.

Abbiamo bisogno di farla diventare la parola più importante del nostro vocabolario.

Con risurrezione dobbiamo abbinare altre parole come: amore, perdono, carità, amicizia, vicinanza, rispetto, fedeltà, sacrificio, verità, bellezza, forza, coraggio, attenzione, solidarietà. Se siamo risorti con Cristo, con questi ingredienti dobbiamo impastare la nostra vita. Già al presente, ogni giorno.

Allora anche l’augurio di “Buona Pasqua” non sarà un gesto formale, ma sarà per tutti l’augurio di “buona risurrezione”.

P. Roberto

Icona San Giuseppe e Gesù bambino

 

 

 

 

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