Un'avventura lunga trent'anni. Il gruppo scout del Padova 2

Raccontare la storia di un gruppo che è più vecchio di chi scrive non è facile. Eppure c'è qualcosa di irrimediabilmente affascinante nell'andare alla ricerca delle origini e dei momenti chiave di questi 30 anni di “Padova 2”. Prima però è necessario un passo indietro.

Lo scoutismo è un'avventura iniziata più di cent'anni fa, nel 1907, da un’idea di un generale dell'esercito del Regno Unito, Sir Robert Stephenson Smyth Lord Baden Powell, che volle applicare la sua esperienza accumulata negli anni all'educazione dei giovani, costruendo su quattro punti fondamentali (formazione del carattere, salute e forza fisica, servizio al prossimo e abilità manuale) un metodo finalizzato alla formazione di buoni cittadini e cittadine. Qualche anno dopo lo scoutismo arriva in Italia, e nel 1916 nasce la prima grande associazione scout connotata in senso cattolico, l'ASCI – Associazione scoutistica cattolica italiana – che riuniva soltanto membri di sesso maschile. Durante il fascismo le associazioni scout vengono sciolte, così che fino alla fine del regime fascista – salvo le emozionanti vicende degli scout che continuarono a svolgere le proprie attività in clandestinità – non si videro grosse novità nello scoutismo italiano. Nel 1943 iniziarono le proprie attività le guide (cioè le ragazze scout) cattoliche dell'AGI – Associazione guide italiane – e due anni dopo riprendono le attività dell'ASCI. Le due associazioni cattoliche proseguono le loro storie separate fino al 1974, anno in cui si sciolgono per formare l'AGESCI – Associazione guide e scout cattolici italiani - che oggi è la maggiore realtà scout italiana, con più di 176 mila iscritti nel 2009.

Perché questo rapidissimo, appena accennato, riassunto della storia dello scoutismo italiano? È presto detto: quando il 4 maggio 1974 la fusione tra le due associazioni fu votata dai consiglieri generali e dalle consigliere generali di ASCI e AGI, tra i due schieramenti sedevano rispettivamente – all'epoca senza conoscersi – Giorgio Rostagni e Giovannella Baggio, che negli anni immediatamente successivi furono insieme alla guida dell'AGESCI Veneto, fungendo da propulsori per i primi anni di uno scoutismo rinnovato nella nostra regione.

Finita la loro avventura come Responsabili Regionali (attorno al 1979), Giovannella e Giorgio  ebbero finalmente il tempo per esaudire le richieste di Padre Roberto Nava, all'epoca giovane cappellano che si occupava delle diverse realtà giovanili della parrocchia di San Camillo, di piantare il seme dello scoutismo nella parrocchia. Padre Roberto indicò a Giovannella e Giorgio alcuni giovani della parrocchia che avrebbero potuto costituire il primo nucleo del gruppo: tra questi sicuramente c'erano Fabio Verlato, Marina Lorini, Chiara ed Enrico Corti, Livio Malesani. Alcuni avevano avuto già esperienze scout, altri nessuna.

Il primo approccio tentato da Giorgio e Giovannella fu quello classico dello scoutismo: molto più semplice ed efficace provare “sul campo” le attività, in stile scout piuttosto che sedersi attorno a un tavolo e spiegare tutto da zero.

Infatti la proposta fu quella di un'uscita “in borghese”, sull'altipiano di Asiago nel 1980: si trattò di un successo, i giovani “eletti” trovarono interessante la proposta e iniziarono le prime attività.

Stando al più sicuro documento scritto che mi è stato fornito (il censimento del 1982), la seconda comunità capi era così composta: capigruppo Giovannella e Giorgio; in branco Fabio Verlato, Antonella Ruffatto, Marina Lorini, Agostino Meneghini e Danilo Bassan; in reparto Chiara Corti, Livio Malesani, Enrico Corti e Silvia Zanetti; in noviziato Nicola Guarino e Liliana Savioli, Carlo e Ilaria Bisaglia, Paolo Concheri.

I ricordi dei primissimi anni non sono nitidi: di sicuro, le prime attività con i bambini iniziarono proponendo loro di fermarsi a giocare insieme dopo la fine del catechismo, senza particolari strutture o etichette. La cosa che oggi colpisce è che i lupetti (o protolupetti) furono affidati a giovani che all'epoca sapevano ben poco di scoutismo: ragazzi che però si resero disponibili a formarsi e a dedicare una buona parte del proprio tempo a un mondo conosciuto solo in parte. Cominciarono subito anche le avventure del reparto (dai 12 ai 16 anni): all'inizio erano solo  ragazze, le “guide”, che formavano le squadriglie (così chiamiamo dei gruppetti monosessuati che dovrebbero essere di 6-7 persone) dei castori e dei martin pescatori; l'anno dopo arrivarono anche i ragazzi, gli “esploratori” delle squadriglie marmotte e falchi, e il primo campo con tutte e quattro le squadriglie si tenne a Calgaretto (UD).

Per diversi anni la branca che aveva più difficoltà a decollare era quella dei ragazzi più grandi, dai 17 anni in su: il noviziato e la comunità rover/scolte. Molti nomi vennero suggeriti da Padre Roberto, che chiese di accogliere anche giovani che erano lontani dalla vita della parrocchia. Furono anni fumosi, complessi: si facevano attività nuove, stimolanti, ma non si riusciva ad ingranare. Tra i membri del primo noviziato c'erano Lucia Corti, Giovanna Verlato, Alessandra Varricchio, Fabio Irsara e Stefano Zagni.

I numeri riportati nel censimento del 1982 ci raccontano che il branco era composto di 40 bambini, il reparto di 28 esploratori e guide (l'anno prima erano ufficialmente solo 8 guide), e che in noviziato sedevano 10 persone.

Le difficoltà iniziarono ad appianarsi attorno al 1984-85, quando fecero il loro ingresso nella branca rover e scolte i primi giovani che avevano vissuto l'esperienza del reparto: Giancarlo Cardin, Rossana Gregnanin, Lucia Volpin ed Enrico Lazzaro. Nell'estate del 1985 venne firmata la prima carta di clan, il documento d'identità e manifesto di valori cui il clan stesso si ispira: i capiclan di allora erano Fabio e Marina, con Chiara e Livio. Col passare degli anni, il bacino d'utenza non era più limitato alla parrocchia, e la proposta scout conosce un bel “successo”: in quegli stessi anni vennero creati un altro branco e un altro reparto, sempre a San Camillo.

Le caratteristiche del gruppo erano aderenti alle intenzioni dei fondatori: si voleva fare uno scoutismo che non fosse troppo strutturato o formale, non privilegiando quindi l'apparenza (l'uniforme) o alcune rigidità che sono parte integrante dell'associazione, ma immergendosi in pieno in quella che è la sostanza dell'esperienza scout. Gioco, avventura, strada, servizio e comunità erano vissute con semplicità e senza fronzoli, e quella fu probabilmente la forza del Padova 2 di quegli anni. Le stesse strutture associative regionali e cittadine storcevano un po' il naso di fronte a questo gruppo atipico, ma ciononostante questa tendenza “ribelle” è rimasta a lungo, nel bene e nel male.

Uno dei fondamenti dello scoutismo, si sa, è il servizio al prossimo: ogni scout promette di <<aiutare gli altri in ogni circostanza>>, e la legge scout ci chiede di renderci utili e di aiutare gli altri. È con questo spirito che si vive, soprattutto dai 17/18 anni, la dimensione del servizio individuale con costanza e dedizione. Negli anni non sono mancate le occasioni di vivere forti esperienze comunitarie di servizio.

La prima occasione si presentò per il clan e il noviziato: già nel 1992 si era iniziato a discutere circa la possibilità di non fare un campo mobile, con zaino e tendina in giro per i monti, ma di fare qualcosa che fino ad allora nel nostro gruppo non era mai stato fatto: un campo di servizio, per di più all'estero, nell'ambito del progetto dell'AGESCI chiamato “Operazione Volo d'Aquila”, in sostegno della popolazione albanese. Dopo un anno di discussioni e preparativi, nonché di vari autofinanziamenti per acquistare il materiale da lavoro che in Albania non si sarebbe trovato (perlomeno non di buona qualità), durante l'estate del 1993, guidati da un mega-staff composto da Enrico Corti, Rossana – Rox – Gregnanin, Giovannella Baggio, Giulio – Spazzola – Pecoraro e Padre Giacomo Bonaventura, coadiuvati da Giovanna Verlato e Carla Pittarello, una trentina di ragazzi e ragazze partirono per il villaggio di Gurz, nel nord del paese. Trovato alloggio presso la scuola del villaggio, iniziarono i giorni di servizio: si andava dall'animazione per le strade del paese, all'assistenza ai medici che avevano allestito un ambulatorio, dall'educazione dei bambini all'igiene basilare, alla cura degli impianti elettrici della scuola, alla pulizia di un cimitero cristiano (in seguito fu richiesto anche di sistemare quello musulmano). Fu sicuramente un'esperienza toccante, emotivamente impegnativa; i ricordi più vivi (sentiti diversi partecipanti) riguardano la povertà in cui si trovava quella gente: spesso i bambini andavano a prendere dall'immondizia materiale buono per giocare o da riutilizzare, tant'è che una volta che ci si rese conto di ciò, si ebbe l'attenzione di pulire le bottiglie di vetro e altro materiale riutilizzabile e di lasciarlo sui balconi della scuola, sicuri che qualcuno sarebbe venuto a prenderlo...

Un'altra significativa esperienza fu quella vissuta dalla comunità capi nel dicembre del 1994: un mese prima, le esondazioni del Po e del Tanaro avevano causato decine di vittime e migliaia di senzatetto tra Cuneo, Asti e Alessandria. Fu così che la comunità capi si rimboccò le maniche e partì per Alessandria, inizialmente per spalare fango, poi per cucinare in una delle mense allestite per gestire l'emergenza. Al di là degli ovvi sentimenti di solidarietà ed empatia con la popolazione, quell'occasione viene oggi ricordata anche come il momento di rinsaldamento dei rapporti interni alla comunità capi.

I reparti di San Camillo “Akita-mani-yo” e “Pegaso” – che negli anni risultarono composti dalle squadriglie maschili marmotte, falchi, volpi, stambecchi, squali e orsi, e da quelle femminili martin-pescatori, scoiattoli, castori, irbis e aquile – cessarono di esistere nel 2001, riunendosi nel nuovo reparto “Vega”.

 

Il branco della “Luna piena” (ripartito nelle quattro sestiglie – gruppetti misti di bambini e bambine – chiamate dei lupi grigi, argentati, bruni e tawni) e il branco degli “Abili cacciatori” (con le sestiglie fulvi, neri, pezzati e bianchi) continuarono a giocare separati fino all'ottobre del 2003, quando le forze della comunità capi non erano più sufficienti a tenere due branchi a San Camillo, e si creò il branco del “Fiore rosso”, che oggi continua a fare attività con le sestiglie dei bianchi, neri, pezzati e bruni.

A questo punto del racconto serve fare un salto indietro di circa dieci anni. Nel 1990 la comunità capi era ipertrofica, i capi disponibili al servizio erano in sovrannumero, ben oltre le strette necessità delle cinque unità allora presenti a San Camillo. Allo stesso tempo, il clan era decisamente numeroso. I tempi erano propizi per tentare di fare un salto di qualità, e creare un gruppo gemello del Padova 2. Gli occhi e i pensieri dei capi di allora andarono a posarsi sulla realtà di Terranegra, finendo così per chiedere al parroco dell'Internato Ignoto, don Alberto, di potersi appoggiare alla parrocchia.

La sistemazione che si trovò per i primi anni di attività fu presso la chiesa dismessa di S Gaetano, nell'isola di Terranegra: in origine il reparto “Mistral” svolgeva le proprie attività nella ex sacrestia, mentre l'anno successivo venne spostato in quello che era stato il garage della canonica. Tra i primi capireparto c'erano Carlo Bisaglia, Silvia Camuffo e  Paolo Ferronato.

Contemporaneamente, il branco “Mille orme”, guidato da Matteo – Cooper – Scortegagna, Emanuela – Manù –  Pluchinotta, Lucia Corti e altri, iniziò le proprie attività “al rovescio” rispetto a quella che oggi è la “regola”: durante i primi mesi di attività, fino alle Vacanze di branco, i lupetti giocarono vivendo le storie di Dorothy e del mago di Oz, mentre alle Vacanze di branco si iniziò ad raccontare le storie di Mowgli, che accompagnano sempre le attività dei lupetti. Il branco venne sistemato in una casupola in lamiera a fianco alla chiesa.

Il periodo di attività in isola viene ricordato da chi l'ha vissuto come un periodo speciale. C'erano le tante fatiche per ristrutturare e rendere abitabili i luoghi che ospitavano i ragazzi (gli impianti, i progetti, erano tutti opera delle competenze tecniche dei capi di allora), le continue lotte contro le intemperie (i secchi appoggiati sul pavimento pare fossero una costante quando pioveva) o contro il caldo (basti pensare ai periodi primaverili o para-estivi nella casetta di lamiera); ma c'era anche la gioia di una avventura nuova, “ruspante”: c'era un circolo virtuoso di solidarietà, un senso di famiglia allargata, tra gli scout e gli abitanti dell'isola.

Il reparto, inizialmente molto piccolo (era composto da una squadriglia maschile, gli albatros, e una femminile, le rondini), con il passare degli anni raggiunse misure normali, tant'è che nel 1994 si riuscirono ad aggiungere un'altra squadriglia maschile, i pipistrelli, e una femminile, gli aironi. Il branco invece sin dalle sue origini è sempre stato abbastanza numeroso.

Nel 1996, a causa dei lavori di ristrutturazione della chiesa di S. Gaetano, branco e reparto dovettero spostarsi dall'isola, e si trasferirono presso l'Internato ignoto: il branco, oramai affezionato alle strutture in metallo, creò la sua tana in una “casetta di latta” nel giardino dell'asilo adiacente al tempio, mentre per il reparto si costruì dal nulla una sede in legno (nel frattempo passò un anno di attività nella cripta del tempio, assieme al materiale della sagra e alla ruota della tombola). Ancora una volta furono fondamentali le energie e le capacità professionali dei capi di allora, e lo spirito di servizio dei ragazzi del clan.

Nel 1999 si fece un altro passo verso la creazione di un gruppo parallelo, gemello. Il clan “Cercando l'oro” di San Camillo venne diviso: a Terranegra iniziò le proprie attività il nuovo clan “Non ti fermare”, composto da ragazzi che avevano fatto il proprio percorso di lupetti e di esploratori e guide proprio a Terranegra, oltre ad altri volontari. Alla guida di questa nuova unità c'erano Marta Schiavon e Filippo – Zopp – Scortegagna. A San Camillo rimaneva il clan “Estoy alegre”. Siamo nel periodo di massima espansione del nostro gruppo: tre branchi, tre reparti e due clan, che dipendono da una sola comunità capi. Massima espansione del gruppo, ma al contempo incapacità di cavalcare l'onda e di separare le comunità capi, per essere pronti a creare davvero un gruppo autonomo a Terranegra.

Ricordando le vicende del clan “Non ti fermare” non si può dimenticare il campo di servizio durante l'estate del 2001 a Sarajevo. Si trattò di una esperienza intensa, che univa il lavoro pratico a una conoscenza più approfondita della situazione serbo croata passata e di allora. La giornata-tipo era così: la mattina, fino all'ora di pranzo, i rover e le scolte prestavano il loro servizio alle famiglie intente a ricostruire le case e facevamo animazione di strada, recuperando bimbi sparsi un po' ovunque tra i palazzoni diroccati; il pomeriggio era dedicato alla parte di conoscenza della realtà bosniaca, tramite riunioni-conferenze con un relatore, piuttosto che tramite visite della città e del presidio militare italiano. Chi visse quest'esperienza ricorda con piacere l'accoglienza riservata dalle famiglie agli scout: nonostante evidenti problemi di lingua, si venne a creare un contatto davvero forte, spontaneo, vivo e a volte spiazzante per la semplicità e l'immediatezza di gesti e attenzioni reciproche.

Di lì a qualche anno, il reparto “Mistral” – che nel frattempo aveva partecipato al campo nazionale del 2003 – entrò in crisi: la partecipazione era poca e si tornò alle dimensioni originarie. Con un lavoro continuativo e ragionato tra il 2004 e il 2008 il reparto venne riportato a delle dimensioni dignitose, ma le tribolazioni terranegrine non erano finite.

La situazione in comunità capi non era più la stessa del 1990: i numeri non erano più così imponenti, le energie non più freschissime. Fatto sta che nel 2003, mentre a San Camillo si riunivano i branchi, a Terranegra cessava l'esperienza del clan “Non ti fermare”: a Silvia Noventa e Stefano – Neno –  Meggio l'onere di ricomporre un clan unico, il “Canto libero”.

Nel frattempo fallì l'ultimo timido tentativo di creare una comunità capi a Terranegra: la formazione dello “zoccolo duro di sei capi” mostra presto le sue debolezze. La situazione non era rosea: il desiderio era quello di lottare per tenere aperte le unità di Terranegra, ma d'altra parte non c'era più un clan radicato in quel territorio; ed è dal clan che provengono di solito i giovani capi.

Fu nel 2007, anno del centenario dello scoutismo, che ci si rese conto del fatto che la struttura del gruppo non era ancora sostenibile. La soluzione scelta – seppur con forti perplessità – fu quella di unire i reparti “Vega” e “Mistral”, due reparti molto diversi nella storia e nelle potenzialità: il primo decisamente strutturato, molto forte (aveva vinto la competizione di bighe in Prato della valle in occasione del centenario dello scoutismo, manifestazione che aveva visto coinvolti tutti i reparti delle associazioni scout di Padova e provincia) e forse “seduto” sulla propria identità abbastanza definita, il secondo uscito da un periodo di crisi, molto giovane e “inesperto”, ma composto da esploratori e guide dotati di grande fantasia, curiosità e voglia di rinnovarsi. I due reparti passarono i reciproci campi estivi del 2007 a Forni di sotto, durante gli stessi giorni, separati da un fiume e nulla più: si volle lasciare a entrambi i reparti le proprie identità, pur senza rinunciare all'occasione di fare diverse attività insieme, iniziando a ri-conoscersi. L'anno successivo si giocò tutto sulla fusione dei reparti: a partire dal mese di marzo del 2008 le due unità cessarono di fare attività separate, e alla fine del campo estivo di quell'anno, a Villach, nacque ufficialmente il nuovo reparto “Fenice”. Oggi il reparto svolge le sue attività nella cripta della chiesa di San Camillo, ed è  formato dalle squadriglie pipistrelli, albatros, volpi, squali, aquile, martin pescatori, fenicotteri rosa e rondini.

A Terranegra rimane il branco “Mille orme” con le sue sestiglie neri, pezzati, grigi, bruni e tawni: sono l'ultima roccaforte del gruppo in quel territorio.

Siamo ormai ai giorni nostri, in cui il gruppo conta 142 iscritti: 20 capi, 27 lupetti a Terranegra, 24 lupetti a San Camillo, 40 esploratori/guide del reparto, e 31 rover/scolte del clan.

Il nostro futuro è incerto: siamo impegnati in un progetto che vorrebbe riportarci a Terranegra, spinti anche dalle tante richieste che ci vengono da quella realtà e in particolare dal parroco Padre Roberto. Per questo ci siamo dati un paio d'anni per verificare la possibilità di aprire nuovamente il clan a Terranegra in vista di una separazione futura. Il che implica la necessità di trovare da un lato nuove forze, nuove energie (giovani o meno) che siano pronte a lanciarsi in una sfida non facile ma appassionante, dall'altro cambiare gli standard di “lavoro” a cui noi capi siamo abituati, senza rinunciare alla qualità.

La struttura del gruppo così com'è (due branchi che alimentano un reparto che alimenta a sua volta un clan) non è vincente in un'ottica di esperienza scout. Quindi, colgo l’occasione per rivolgere un accorato appello a chi sia determinato a camminare con un gruppo di persone che dedicano buona parte del proprio tempo libero a bambini, ragazzi e giovani adulti: fatevi avanti, venite a conoscerci e a farvi conoscere.

In coda a questa breve storia, i doverosi ringraziamenti e una altrettanto doverosa richiesta di perdono. Grazie di cuore a Giovannella, che mi ha dedicato un po' del suo prezioso tempo narrandomi le origini del mio gruppo e mi ha fatto riscoprire ancora una volta come lo scoutismo non sia un monolite ma un agglomerato di persone diverse che imparano a vivere, a giocare, a lavorare e fare grandi imprese insieme. Grazie a Severino, un capo che mi ha sempre dato l'impressione di voler vivere con semplicità e determinazione lo scoutismo, che mi ha raccontato le vicende di iniziali di Terranegra. Un ringraziamento collettivo ai fratelli Enrico, Lucia e Chiara Corti, che mi hanno fornito qualche documento scritto e mi hanno chiarito le idee circa i primi anni 80 e 90. Grazie a Sofia Tremolada per i racconti circa l'operazione “Volo d'Aquila” e a Livia Rodà per quelli sull'esperienza a Sarajevo. E per le rifiniture, grazie a Matteo Bisaglia, Marina Lorini e Giulia Catanzaro.

Ora, la richiesta di perdono: scrivendo una storia basata in gran parte sui ricordi di poche ma volonterose fonti il rischio (se non il necessario effetto collaterale) è quello di dimenticare qualche nome. Chiedo scusa quindi a chi non è stato nominato in queste righe, pur avendo contribuito attivamente ai momenti cruciali della nostra storia.

E per finire un annuncio: quest'anno, domenica 13 giugno festeggeremo i 30 anni del gruppo: a chi è passato per le nostre sestiglie, squadriglie, clan e comunità capi, a chi ha visto passare i propri figli, a chi è semplicemente curioso rivolgiamo l'invito a unirsi a noi. A breve sarà reso pubblico il programma della giornata.

 

Andrea Berto

Capo Gruppo del Padova 2

 




l Salone: originariamente sede della prima Chiesa, è oggi luogo dedicato ad accogliere pranzi, cene e feste comunitarie ...


 

 

 

 

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