SPAZIO (ai) GIOVANI

In questo numero circa metà del notiziario è dedicato ai giovani della nostra comunità, con uno spazio “speciale”. Buona lettura


Campo giovanissimi, Sessa Aurunca

“Ma cosa fate a ‘sti campi?”. È una domanda che abbiamo sentito di frequente. È difficile descrivere in generale cosa si fa ai campi estivi, possiamo però condividere con voi un’esperienza in particolare. Possiamo raccontarvi di questa estate: è il campo stesso che chiede di essere raccontato. Vogliamo raccontarvi della cooperativa “Al di là dei Sogni”, dei suoi soci, del territorio di Sessa Aurunca e di Alberto Varone.

Anzitutto c’è da dire che abbiamo commesso un’imprecisione: abbiamo detto campo, ma bisognerebbe dire campi. Diciassette ettari per la precisione. È l’estensione dei terreni che la cooperativa “Al di là dei Sogni” gestisce e coltiva; un tempo appartenuti ad un camorrista, ora vengono impiegati per dare lavoro a persone appartenenti a “fasce deboli”, persone provenienti da situazioni di disagio (salute mentale, ex dipendenze, ospedali psichiatrici giudiziari). In questi campi anche noi, insieme ai soci della cooperativa, abbiamo lavorato tutte le mattine. Si iniziava alle sette per evitare il caldo e, divisi in gruppetti, ci si dava da fare nelle varie attività previste: chi a raccogliere i pomodori, chi a sistemare il giardino, chi a preparare le conserve.

 

 

Dopo il duro lavoro della mattina il pomeriggio era dedicato all’ascolto di testimoni che, nella loro vita, hanno avuto a che fare con la camorra. La varietà di persone che ci si sono presentate ci ha subito fatto capire che la camorra, e più in generale le mafie, colpiscono la popolazione a tutti i livelli. Il format si ripeteva giorno dopo giorno: loro a parlare, noi ad ascoltare. Avete mai provato a tenere l’attenzione di un gruppo di quindicenni per due ore di fila? Noi sì, con scarsi risultati. Loro invece ci sono riusciti: era impossibile non ascoltare quelle storie. La prima è stata quella di un professore di filosofia che, attraverso la sua storia di lotta col padre, ci ha raccontato la storia di lotta del territorio campano contro la camorra e l’illegalità. Ad un festival organizzato nella vicina località di Teano abbiamo ascoltato un imprenditore coraggioso che ha perso un occhio e la sua libertà (ora vive sotto scorta) per essersi rifiutato di collaborare con la criminalità organizzata. E infine una forte testimonianza ce l’ha data il responsabile della cooperativa, che è riuscito a mettere insieme la lotta alle mafie con il servizio verso i più deboli.

È stato lui, insieme ai suoi collaboratori, a decidere di dedicare il bene confiscato (che la cooperativa gestisce) ad Alberto Varone, un commerciante che si è rifiutato di cedere la propria attività perché fosse usata per riciclare denaro sporco ed è stato ammazzato. Cosa possiamo fare noi per lui? Niente, è morto. Possiamo però raccontarvi di Alberto Varone per riflettere insieme, perché la camorra non è un problema di Alberto Varone o di Sessa Aurunca. È un problema che esiste anche nel Nord e anche nel nostro piccolo; è un atteggiamento prima che un’organizzazione. Noi possiamo però raccontare, parlare; perché le parole, a volte, sono importanti.

Alberto Cenzato e Francesca Tosato

 

 


Campo giovanissimi, Trento

Dal 3 al 9 agosto si è svolto il campo dei gruppi giovanissimi di 3ª, 4ª e 5ª superiore delle parrocchie di San Camillo, San Paolo, Cristo Re e Madonna Pellegrina.

Quest’anno è stato però un campo diverso dal solito: la proposta è stata quella di un campo a Trento, in collaborazione con il Centro Astalli, una fondazione dei Gesuiti che si occupa dell’accoglienza dei rifugiati in Italia.

Il percorso che ha portato i ragazzi a vivere questo campo è iniziato qualche mese prima, con una corrispondenza epistolare con alcuni coetanei richiedenti asilo e ospitati a Trento. A Trento, durante la settimana di campo, i ragazzi hanno potuto conoscere i loro “amici di penna” con i quali si è instaurato velocemente un forte rapporto di amicizia. Oltre alle occasioni di incontro (come un’escursione in montagna) che hanno  permesso  il  crearsi di queste relazioni, durante il campo i ragazzi hanno avuto l’opportunità di conoscere nel dettaglio diversi aspetti dell’accoglienza dei rifugiati in Italia, tramite numerose testimonianze, sia di operatori e volontari del Centro Astalli che di rifugiati che hanno condiviso la loro storia.

Per non lasciare quest’esperienza a se stessa ,i ragazzi hanno preparato una presentazione tramite immagini, video e racconti del campo, proposta nella serata del 7 settembre presso il cinema Rex. Oltre a descrivere le attività svolte durante la settimana di campo, i ragazzi hanno anche potuto raccontare le loro aspettative e le loro perplessità prima di partire e come poi si sono trasformate nel corso dell’esperienza, quando hanno potuto toccare con mano questa realtà e conoscerne meglio le dinamiche.

Quello dell’accoglienza è un tema molto caldo al giorno d’oggi. Quotidianamente veniamo in contatto con innumerevoli notizie, talvolta false e spesso condite da biechi pregiudizi, che non permettono di avere una visione chiara e veritiera dell’argomento. Con questa esperienza noi educatori ci siamo proposti di fornire ai ragazzi un’opportunità e gli strumenti adatti per comprendere a fondo quello che succede attorno a loro e per viverlo nell’ottica cristiana dell’aiuto verso il prossimo.

La cosa più bella è stata vedere la semplicità e la spontaneità con cui si sono creati legami con gli amici di penna, Yahya, Moussa, Bolt e Bakari. Giovani con un passato e un vissuto diametralmente opposto a quello dei nostri ragazzi si sono rivelati essere molto più vicini di quanto si pensasse. Giocando a calcio insieme, cantando insieme le canzoni degli stessi cantanti preferiti, sono emersi innumerevoli interessi e passioni comuni che li hanno portati a stringere una forte amicizia e a creare una straordinaria sintonia, inizialmente inaspettata da entrambe le parti.

Un’amicizia che ha dato speranza ai ragazzi di Trento, consci dei pregiudizi che dilagano nei loro confronti, e che servirà (speriamo!) come trampolino ai ragazzi di Padova, affinché abbiano a cuore queste tematiche e si impegnino anche nel loro piccolo a migliorare il mondo in cui vivono.

Irene Seno

 


Gruppo Scout PADOVA 2

PROGETTO EDUCATIVO 2017-2020

Costruiamo e viviamo una relazione reale e significativa

Mercoledì 13 settembre u.s. presso il salone parrocchiale, la Comunità Capi del gruppo scout PD2 ha incontrato tutti i genitori dei bambini/ragazzi/giovani scout, per condividere il nuovo Progetto Educativo di gruppo.

Il metodo scout già offre strumenti per formare tutti gli aspetti della personalità e della relazione sociale, adattati alle tre fasce d’età in cui vengono proposti (Lupetti 8-12, Esploratori/Guide 12-16, Rover/Scolte 16-20).

Il Progetto educativo è utile perché orienta l’azione educativa su particolari temi che caratterizzano una determinata comunità in un determinato contesto storico e sociale.

Si sono prese in considerazione le tre sfere fondamentali di sviluppo della personalità:

·        il rapporto con se stessi;

·        il rapporto con i coetanei;

·        il rapporto con l’adulto.

Il tema della spiritualità è stato considerato come elemento trasversale, a naturale complemento di tutti e tre gli aspetti precedentemente citati.

Per rendere il Progetto educativo uno strumento di facile consultazione e indirizzo per i Capi, gli obiettivi sono stati riassunti in slogan e suddivisi nei tre anni di validità (2017-2020).

Di seguito se ne riporta una sintesi:

1° anno:

“MI CONOSCO E MI FORTIFICO”

·   GUARDARSI ALLO SPECCHIO: educare i ragazzi ad approfondire la conoscenza di sé, per una consapevolezza più profonda di chi sono realmente.

·   C.C.C.- CAPACITA’ COMPETENZA CERCASI: approfondire e sviluppare le capacità di ciascuno, attraverso la sperimentazione delle stesse, per conoscere e comprendere il livello delle proprie competenze.

·   SE NON C’È SOLUZIONE NON C’È PROBLEMA: Riconoscere i propri limiti approfondendone le diverse sfaccettature e riconoscendo gli aspetti che possono essere migliorati e quelli che, invece, occorre accettare.

·   SONO IO CHE HO UN DIFETTO O SEI TU CHE HAI UNA QUALITÀ? Confronto con gli altri, soprattutto se vissuto come momento di crescita comune in un contesto di accoglienza dei limiti e valorizzazione delle qualità proprie e altrui.

·   PERCHÉ IO VALGO: Gesù ci insegna a riconoscere in noi stessi quelli che sono i nostri talenti, per poterli mettere a disposizione degli altri, ma ci insegna anche a non aver timore o vergogna nel chiedere aiuto quando non riusciamo da soli. Partecipazione al Sinodo Diocesano dei Giovani.

(2° anno)

“MI RELAZIONO E MI ARRICCHISCO”

·     AMI I TUOI VICINI? Si lavorerà, dunque, affinché si creino dinamiche favorevoli all'instaurazione di relazioni sane e sincere.

·     A-SOCIAL MEDIA: privilegiare l’importanza della relazione vissuta di persona rispetto alla relazione virtuale.

·     TUTTI CON UNO, UNO CON TUTTI! Creare frequenti momenti di condivisione particolarmente curati e calati nella reale situazione relazionale che vivono i nostri ragazzi.

·     OLD BUT GOLD: approfondimento della conoscenza dell’adulto attraverso una relazione significativa e cercata da entrambe le parti.

·     13 A TAVOLA: la vita di Gesù e il suo rapporto con gli apostoli ci farà da guida per imparare ad apprezzare il significato profondo che si cela dietro la relazione con l'altro.

(3° anno): "OSO!"

·     CONVERGENZE SGHEMBE: educare all’accoglienza del “diverso” per scoprire elementi comuni e differenze come arricchimento personale.

·    BUTTATI! Aprirsi a nuove esperienze, consapevoli delle proprie capacità, competenze ed abilità.

·     SE NON PROVI, NON SAI: pensare al domani in termini di progettazione del futuro e non più vivendo “solo” alla giornata.

·     PRENDI LA MIRA E SPARA: aumentare la consapevolezza di fare delle scelte nell'ambito di un progetto personale.

·     SALE E PEPE Q.B.: "Voi siete il sale della terra" , "Voi siete la luce del mondo".

Trovate il testo completo del progetto

QUI

Matteo Bisaglia


Gruppo Scout PADOVA 2

Missione Internazionale

Premessa: "Squadriglia"..."missione". sono parole inventate o stanno scritte veramente nel vocabolario? Si sa che gli scout hanno un linguaggio tutto loro, a volte orribilmente incomprensibile (RRZZ) a volte superbamente evocativo (la Fiamma del reparto). Il punto fondamentale però è capirsi. Cos'è dunque una missione di squadriglia? Presto detto. A un gruppetto di ragazzi/e sui 12 - 16 anni (squadriglia) viene affidato dai capi una sfida da compiere (missione), che riguarda un ambito specifico (nautica, esplorazione, artigianato,..) su cui si buttano a capofitto dall'inizio dell'anno, progettando e realizzando uscite, costruzioni, ricerche inerenti al filone scelto. La squadriglia "Pantere" del reparto "Atlas" si è cimentata nella missione di Internazionale. Il nome dice già tutto e l'articolo, da loro scritto, vi darà un'idea di cosa hanno vissuto e scoperto nella loro missione.

 

NIGERIA: UN MONDO DA SCOPRIRE!

 

La squadriglia Pantere del gruppo scout della parrocchia il 13/05 ha intervistato la famiglia nigeriana Atheka, residente qui a San Camillo da un anno circa.

Molti credono di conoscere questo straordinario paese, ma in verità gli aspetti non noti sono più di quanti si possa immaginare. Un sabato pomeriggio del mese di maggio ci siamo recate a casa della famiglia di nigeriani che abita qui in Italia da pochi mesi e che ci ha accolto calorosamente. Per cominciare ci siamo presentate. Per la nostra intervista abbiamo dialogato in inglese. Nel loro paese si parlano numerose lingue ma quella locale è l’EDO. Abbiamo chiesto loro come si trovano in Italia, la loro risposta è stata positiva: innanzitutto hanno trovato una maggiore varietà di cibi rispetto ai piatti tipici nigeriani come lo YAM e la ZUPPA DI VERDURE. Per quanto riguarda il clima, hanno impiegato del tempo ad abituarsi in quanto hanno trovato parecchi gradi in meno rispetto al loro paese natale.

Ci ha molto colpito il fatto che le scuole nigeriane siano molto costose e che, di conseguenza, solo i bambini appartenenti alle famiglie più abbienti possano permettersi le spese per sostenere gli studi.

 

Inoltre abbiamo dedicato una particolare attenzione alla condizione delle donne; per prima cosa la donna non è sottomessa ai voleri autoritari dell’uomo; tuttavia non dispone di diritti politici e di conseguenza non le è consentito votare.

Per quanto riguarda le feste ci aspettavamo tutte che la loro cultura ne prevedesse diverse, invece ci hanno spiegato che le festività vengono celebrate di rado. Durante queste poche feste le donne indossano vestiti variopinti e cosparsi di perline colorate.

Questo incontro ci ha dato l’occasione di aprire gli occhi davanti ad una realtà che consideravamo lontana da noi. Ringraziamo di cuore la famiglia Atheka che ci ha dato l’opportunità di conoscere un mondo nuovo a noi estraneo fino a poco tempo fa, un mondo unico per le sue particolari usanze, un mondo da scoprire.

 

Una scuola in Nigeria


Un piatto tipico della Nigeria


Giornata Mondiale della Gioventù 2016 Cracovia

LA MIA ESPERIENZA (terza e ultima parte)

(Negli ultimi due numeri di Vita Nostra, Chiara ha raccontato la prima parte del viaggio, la "vacanza" e il "pellegrinaggio")

L’ESODO VERSO IL CAMPUS MISERICORDIAE

Esodo è proprio la parola giusta per rappresentare il cammino verso il Campus Misericordiae. Il termine pellegrinaggio non renderebbe allo stesso modo. Sembra infatti qualcosa di leggero, un cammino che si fa con letizia, fede, entusiasmo. Così è iniziato anche il nostro, poi però si è scontrato con la realtà. Come già detto negli scorsi articoli, l'immagine e la realtà della GMG sono totalmente diverse.

Durante un esodo si inizia bene, con lo spirito giusto ma poi si ha fame, il percorso è lungo e lento, non si arriva mai, si perde fiducia, c’è chi sviene, chi fa ore di coda per del cibo che non arriverà, chi cammina nel fango e sotto la pioggia. E il nostro cammino è stato così. Non sorprendetevi per i tempi: per fare circa 8 km abbiamo impiegato quasi 6 ore e a volte ci voleva anche un’ora per farne uno.

La marcia inizia al mattino con un pullman che ci scorta fino alla periferia di Cracovia; per le strade che si inoltrano nella campagna c’è entusiasmo e curiosità. Man mano che ci avviciniamo alle vie principali di accesso i tempi si allungano e le persone si moltiplicano, l’andatura normale lascia pian piano il posto ad un passo molto rallentato e anche a soste per la coda.

Raggiungiamo il primo punto di ristoro a circa 4 km dal nostro settore nel Campus Misericordiae, ma preferiamo proseguire per svincolarci dalla coda; più avanti infatti si trova un altro punto di distribuzione del cibo (sacchetti con per lo più carne essiccata, insalata di riso, tonno, legumi e verdure in scatola, acqua frizzante) più comodo. Superata la coda proseguiamo lungo una tangenziale a più corsie, il passo è un po’ stanco ma ancora sostenuto. Dopo un paio di chilometri arriviamo al secondo punto di ristoro, un piccolo gruppo di valorosi si stacca per mettersi in coda e raccogliere il cibo per tutti, la maggioranza prosegue. Le vie si fanno sempre più strette, le persone aumentano e le strade asfaltate lasciano il posto a viottoli di ghiaino. Dopo almeno un’ora di cammino dall’ultimo punto di ristoro, raggiungiamo il settore A6 del Campus, in linea d’aria vicinissimo al palco ma con un argine che lo nasconde alla vista. Qui inizia a formarsi un vero e proprio accampamento, dove le tele cerate di ciascuno si sovrappongono e confondono con le altre e i settori si riempiono totalmente. Niente a che vedere con un classico campeggio eh, qui non ci sono piazzole e spazi assegnati ai vari gruppi, il settore è un campo letteralmente da spartirsi.

A quel punto (sono circa le 16 e non mangiavamo dalla colazione) si percepisce la fame e ci ricordiamo dei nostri compagni: aspettano lì da almeno un paio d’ore. In un gruppetto decidiamo di andare ad aiutarli e a vedere la situazione. Tornati indietro, troviamo una scena desolante: i ragazzi sono ancora in coda, sfiniti, ma il cibo è finito da un pezzo e i funzionari del punto di ristoro non sanno quando arriveranno i rifornimenti. L’unica soluzione è tornare al punto di consegna precedente. In tre torniamo indietro e ci mettiamo un paio d’ore per portare i sacchetti per tutti (circa 6-7 kg ciascuno). Ora, dopo 6 ore di camminata con uno zaino pieno, senza aver pranzato, quelle due ore mi sono sembrate il doppio ed ero letteralmente distrutta.

Finalmente con la pancia piena e prospettando un po’ di riposo, riesco a vivere la veglia in modo più sereno. L’atmosfera è magica: mi giro intorno e vedo il tramonto e una marea di persone, tante candele che si accendono, so che è solo una piccola parte del Campus Misericordiae e, anche se non riesco a vedere tutti, siamo più di un milione.

I preparativi per la notte sono abbastanza veloci, lo spazio è ristretto e si dorme un po’ uno sull’altro. Il tempo regge e questo basta.

La stanchezza della giornata infatti riduce la preoccupazioni alle cose basilari:

-    ci sono i bagni vicini? Sì;

-    hai mangiato? Sì;

-    piove? No.

Non serve altro. Mi infilo nel sacco a pelo con una coperta argentata per mantenere il calore e si dorme sotto le stelle.

Dopo la celebrazione aspettiamo che la folla defluisca un po’ per andare via. Il tempo però cambia molto velocemente, si alza il vento e iniziano a volare rifiuti e oggetti dimenticati nei settori. Arriva un temporale e le lunghe code si colorano delle tinte dei poncho. Si cammina nel fango e tra le pozze nel ghiaino e si è stanchi come non mai. Il percorso continua tra scrosci e schiarite e dopo un tempo imprecisato raggiungiamo il pullman.

Il risveglio nel campo avviene alle sei del mattino con le prove dei microfoni. Se fino alla sera prima il problema principale era aver bevuto tutto il giorno acqua frizzante, ora tocca alle lunghissime file per i bagni. C’è chi si organizza come può, lavandosi alla meno peggio su qualche triangolo d’erba, chi usa i vespasiani come lavandini, chi si è messo a dormire accanto ai bagni chimici e viene invaso dalla folla. Aspetto quindi un momento migliore per mettermi in coda per i bagni. Prima della messa ne approfitto per scambiare qualche souvenir e convinco due ragazzi mezzi addormentati a scambiare la bandiera italiana per quella polacca. La messa inizia, ma non è sempre facile seguirla, non tutte le parti sono riportate nei libretti e la recitazione in più lingue fa perdere il segno. Ricordo bene il momento dell’omelia, però, perché non c’era coda ai bagni e allora ne ho approfittato per andarci. Sì, durante l’omelia dell’evento centrale della GMG (quello che aspettavo da quasi due settimane) sono andata in bagno. Sarà riprovevole? Forse un po’, però anche qui le buone intenzioni si scontrano con la realtà.

 

COSA MI PORTO A

CASA DA QUESTA GMG

La GMG prima di essere un’espe-rienza di fede è un’esperienza di vita. E da questo punto di vista non è per tutti (per chi non può immaginare di dormire per terra o all’aperto, oppure fare due ore di strada in più a piedi con chili di cibo sulle spalle perché altrimenti oltre al pranzo il gruppo salta anche la cena, etc.). In questi articoli spesso ho sottolineato in modo anche tagliente che la realtà, la fatica, gli spostamenti, la mole di persone calpestano e sotterrano tutti i buoni intenti. Ci si addormenta durante le celebrazioni dopo una giornata spesa a raggiungerle, si va in bagno durante le omelie, si va via prima o si rinuncia a degli eventi per non stare ore fermi in coda.

La GMG è un’esperienza di umanità e incontro. Persone di tutto il mondo si spostano e vogliono esserci, ognuna con la propria storia, la propria fede (salda o malconcia che sia), le proprie fragilità.

La GMG è fede che non ti aspetti. Non è quella che abbiamo quando la domenica andiamo a messa come routine della nostra settimana. Ma ti mette alla prova, è quella che a fine serata ti fa dire “Signore io ti cerco e ho voglia di incontrarti, ma sono troppo stanco per un’altra messa”. È quella che ti fa vedere un po’ di Gesù negli altri, è lo stupore e la gioia che ti cresce dentro nel vedere che non sei lì da solo. Ed è anche quella che non ti sembra fede, che non sai catalogare, perché è un po’ speranza e un po’ motivazione che qualcosa dentro di te cambi, anche se non ne hai la certezza. È proprio per questo motivo che a volte la fede della GMG è anche delusione, perché pensavi che sarebbe cresciuta e invece è allo stesso livello, pensavi si sarebbe rafforzata e ti sembra incostante come prima. È una fede “scomoda” che scava sotto la superficie e ti fa domande alle quali non sai rispondere.

Tramonto al Campus Misericordiae

 

 

Il settore inizia a svuotarsi dopo la messa

 

 

Il palco

 

 

Il gruppo dei giovani di S. Camillo con la bandiera della GMG 2000 lasciataci da Padre Paolo

 

 

Nonostante tutto, sono contenta di aver vissuto questa esperienza perché mi ha arricchito tantissimo e mi ha fornito domande, provocazioni e spunti per proseguire il mio cammino.

Grazie alla GMG ho maturato una diversa consapevolezza e visione della fede e da questo punto di vista mi ha veramente toccato il tema della misericordia. Alla fin fine penso che lo sporco, la fatica, la stanchezza di un’esperienza come la GMG siano un percorso obbligato per andare nel profondo di questo tema. Dal divano di casa, con le proprie comodità, con gli impegni e le mille cose da fare, il messaggio non arriverebbe così chiaro e così in profondità. Ma è lì che ti senti amato in un modo diverso, che fai esperienza di comunione senza avere per forza una particola in bocca, che metti alla prova te stesso oltre alla tua fede, che alcune domande o riflessioni ti passano dentro come lame senza una corazza di scuse, impegni e superficialità.

Chiara Cecchin



 

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